Pesante editoriale del chief business commentator del Financial Times contro la quotazione in borsa di Facebook. Secondo John Gapper, infatti, la società di Mark Zuckerberg dovrebbe addirittura ritirare l’iniziativa, perché viziata da considerazioni che nulla avrebbero a che vedere con quelle tradizionali di quotazione. Che c’è di vero, fermo restando che quello che scrive il Ft non è vangelo?
Secondo Gapper, oggi Facebook è già una macchina da soldi, ed in nessun caso corrisponde alla classica startup priva di liquidità che quota un business plan e tante speranze. Dal 2011 al 2010 il free cash flow della società è esploso, passando da 190 a 470 milioni di dollari, mentre il patrimonio netto è cresciuto da 2,2 a 4,9 miliardi di dollari. E quindi, perché Facebook sta cercando di raccogliere 5 miliardi di dollari con l’IPO? La risposta di Gapper è netta:
«[La società] intende mettere i soldi in titoli del tesoro americano e depositi bancari a risparmio, e forse usarne una parte per pagare le tasse dovute sulla conversione delle “restricted stock units” che ha assegnato ai propri 3200 dipendenti»
Quindi, Zuckerberg quoterebbe Facebook essenzialmente per permettere al proprio staff ed agli investitori istituzionali (un nome su tutti, Goldman Sachs) che hanno preso un pacchetto di azioni della società nel passato, e che oggi desiderano realizzare tutto o in parte l’investimento.
La società resterà assolutamente non contendibile oltre che una monarchia assoluta, visto che Zuckerberg disporrà di un’ampia quota di azioni a voto plurimo, non quotate (un po’ come le IFI ordinarie della famiglia Agnelli, nei tempi che furono, mentre venivano quotate solo le privilegiate), potrà nominare i consiglieri di amministrazione e scegliere il proprio successore, alla sua morte.
Le motivazioni alla base della quotazione non sono malevola inferenza del Ft, però: è stato lo stesso Zuckerberg a precisarle, nella lettera ai nuovi azionisti:
«Ci quotiamo per i nostri dipendenti ed i nostri investitori. Quando abbiamo assegnato loro le azioni abbiamo preso un impegno a lavorare duro per farle valere e renderle liquide, e questa quotazione adempie al nostro impegno»
Questo sembra essere il modus operandi delle startup della Silicon Valley: tutti i collaboratori e prestatori d’opera vengono retribuiti con azioni, e giunge il momento in cui tali azioni vengono rese liquide, attraverso la quotazione. La borsa non come strumento di raccolta dei capitali per l’avventura imprenditoriale ma come momento di “mietitura”, quindi. Anche per questo motivo, il sospetto che Facebook abbia già visto il meglio ha un qualche fondamento.
Riguardo i multipli con i quali Facebook arriverà sul mercato, il consenso prevede 27 volte il fatturato e 100 volte gli utili, ma siamo nel mondo dell’imponderabile. E già nel passato, in altri casi, questi si sono rivelati multipli sostenibili.