Si può riformare qualcosa che, per definizione, è irriformabile? Pare esserne convinto uno dei due Grandi Vecchi del credito in Italia, Giuseppe Guzzetti, presidente della associazione delle Casse di Risparmio, che sta lanciando la proposta di una nuova governance per le Fondazioni bancarie. I punti di questo nuovo statuto sono psichedelici, per chi abbia una sia pur vaga idea di come funzionino le fondazioni in questo paese.
E mentre a Torino si stanno scannando per il rinnovo dei vertici della Compagnia di Sanpaolo, primo azionista di Intesa, con l’ex sindaco, Sergio Chiamparino che ha deciso cosa fare da grande, con l’amorevole spinta del primo cittadino attuale e compagno di partito, Piero Fassino, l’ottimo Guzzetti ha deciso che occorre fare muro contro gli appetiti politici sulle fondazioni. Il risultato sono alcuni surreali precetti, manifestamente irrealizzabili, visto il contesto.
Già l’incipit è di quelli solenni: le Fondazioni svolgano la propria attività nell’interesse esclusivo del leggendario “territorio”, che come noto è la definizione alta e nobile del concetto di collegio elettorale. Soprattutto, le Fondazioni compiono le loro scelte “libere da ingerenze e condizionamenti esterni che ne possano limitare l’autonomia”. Sublime. Riguardo la scelta degli amministratori, essa deve avvenire secondo noti requisiti di competenza, come ben sa chiunque abbia mai avuto a che fare con una fondazione, ed i consiglieri agiscono “nell’esclusivo interesse delle fondazioni e non degli enti designanti”. Beh, certo.
Guzzetti affronta poi l’aspetto delle incompatibilità: i consiglieri di fondazione non possono essere anche candidati a cariche elettive (politiche o amministrative), ma nulla viene detto riguardo il periodo di decantazione prima che un politico possa diventare consigliere di fondazione. Come sempre, contano le omissioni più che le affermazioni ma non c’è problema: un bel codice etico in carta patinata, presentato durante un convegno in qualche amena località turistica con il vescovo d’ordinanza seduto in prima fila ad annuire pensoso, e passa la paura. Ascoltaci, o signorotto.
Ma è sul capitolo della gestione degli investimenti che il “codice Guzzetti” è realmente rivoluzionario, nella sua banalità. Gl investimenti devono essere effettuati secondo i logori “criteri prudenziali” rispetto al rischio (quali, ad esempio: i rating?), e puntare ad una redditività coerente e compatibile con gli obiettivi della missione della fondazione. Prima di ricercare i discendenti di Monsieur De Lapalisse ed offrire loro la presidenza di una fondazione, c’è ancora da affrontare il punto centrale della titanica opera di ri-fondazione: le decisioni siano “coerenti con l’esigenza di diversificazione del rischio in una pluralità di investimenti”. Perfetto, non possiamo che rallegrarci del fatto che Guzzetti ha scoperto Markowitz. Ora dovrebbe farlo scoprire anche ai geniali vertici delle fondazioni italiane, che arrivano ad avere oltre il 90 per cento del proprio patrimonio investito nella banca conferitaria.
Ora Guzzetti ha di fronte a sé una opportunità senza precedenti: imponga un ragionevole periodo per consentire alle fondazioni di cedere le partecipazioni nelle banche conferitarie che confliggono con il “rivoluzionario” principio di diversificazione di investimenti e rischio, trasformando le fondazioni in piccoli “fondi sovrani” locali: entrerà nella storia. Diversamente, sarà l’ennesima operazione gattopardesca di un sistema di poteri morti, ancor prima che marci.