Oggi, sul Corriere, un pezzo breve ma denso di Federico Fubini spiega quello che la politica e gran parte degli osservatori insistono a non voler vedere: il problema della sostenibilità del debito, non solo pubblico ma anche e soprattutto privato. Perché le leggi che regolano le dinamiche del rapporto tra debito e reddito sono eterne ed immutabili.
Fubini osserva che, dall’anno 2000, lo stock totale di debito italiano, pubblico e privato, è passato dal 235 a oltre il 320 per cento. Tale aumento non può essere imputato al “solito sospetto”, il debito pubblico, perché quest’ultimo, nello stesso periodo, è aumentato di soli 10 punti percentuali. E’ il settore privato, banche, famiglie ed imprese, che ha visto un’esplosione di debito. In parte si tratta di tendenze comuni a tutti i paesi sviluppati, visto che abbiamo avuto un decennio di credito più o meno facile, per tutti. I problemi sorgono, per la fondamentale (ma non abbastanza conosciuta) “legge” che determina l’andamento tra reddito e debito. Sta tutto in questo frase:
«Quasi solo in Italia la crescita dell’economia è ormai sistematicamente inferiore al costo del debito (cioè al tasso d’interesse che si paga), anche tenendo conto dell’effetto inflazione. In sostanza il debito del governo, o quello degli abitanti, o delle sue piccole imprese, sale anche se nessuno spende più un solo centesimo»
Perfetto, questo è il punto, che trovate spiegato (più o meno) qui. Quali conseguenze, quindi? In essenza, una sorta di “paradosso del risparmio”, dove tutti tentano contemporaneamente di ridurre il grado di leva finanziaria, l’economia diventa profondamente illiquida perché la sua linfa vitale (il credito) non circola più, e si entra in un circolo vizioso fatto di deterioramento del merito di credito che induce nuove strette. Se in giro ci fosse più consapevolezza di questa dinamica, si eviterebbe di prescrivere moralisticamente più austerità in queste circostanze, come fosse la panacea dei mali del mondo. Forse un giorno arriveremo a capirlo. Ma anche no.
Come combattere questa tendenza? Con l’azione delle banche centrali, che tentano di riliquefare l’economia mentre si attuano le riforme di struttura, che serviranno se e quando tornerà la crescita. Ma è assai difficile che la crescita torni in tempi ragionevoli, quando si è in una balance sheet recession, che da noi si tradurrebbe come “recessione patrimoniale”, o di debito. La cosa più singolare è che la vulgata collettiva dominante ancora ritiene che siano le riforme ad innescare la “fata fiducia” che ci porterà in dono la crescita.
La consolazione è che a volte anche sulla nostra stampa spuntano articoli come questo, che nel loro piccolo contribuiscono a squarciare il velo del “pensiero magico” economico che ci ottenebra. Ma sono sempre troppo rari.