Il Tesoro ha raccolto un quantitativo record di ordini per il nuovo Btp Italia, il titolo “patriottico” collocato online e destinato soprattutto al canale retail. Ordini per quasi 7,3 miliardi di euro per un titolo quadriennale indicizzato all’inflazione italiana che offre un rendimento reale del 2,45 per cento, all’incirca in linea con quello del Btp inflation linked scadenza settembre 2016, che tuttavia è indicizzato all’inflazione dell’intera Eurozona.
Il quantitativo sottoscritto è certamente lusinghiero, e ci consente di esprimere un cauto ottimismo patriottico. Pensare però che questa operazione sia parte di un più ampio movimento di “riacquisto” del nostro debito da parte dei residenti italiani è velleitario. E’ vero che la percentuale di titoli di debito pubblico italiano posseduta da non residenti è scesa di alcuni punti percentuali negli ultimi mesi, dopo la fuga degli stranieri e le due aste straordinarie triennali della Bce grazie a cui le banche italiane ma siamo comunque sopra il 40 per cento.
Maggior cautela servirebbe su altri tipi di valutazioni. Oggi sul Sole, un commento di Isabella Bufacchi evidenzia già dal titolo che “la ricchezza delle famiglie è il firewall italiano”, con enfasi al solito posta su “basso tasso d’indebitamento privato ed alto tasso di risparmio degli italiani”, intesi forse come segnale che, se vogliamo, noi italiani possiamo pure ricomprarci il nostro debito pubblico. Non è vero nulla, naturalmente, ma può servire per darsi coraggio.
In primo luogo, il tasso d’indebitamento privato sta salendo, come abbiamo visto, anche perché lo stock di debito esistente ha un costo che ormai eccede il tasso di crescita del reddito, a causa della durezza e della profondità della crisi. Quanto all’alto tasso di risparmio, ormai da tempo si osserva che il medesimo è in calo, anche qui a causa dell’insufficiente sviluppo del reddito.
Occorre comunque essere lieti del successo di questo Btp, visti gli imponenti fabbisogni di rifinanziamento della Repubblica italiana oltre al fatto che, scegliendo un titolo “reale”, il Tesoro manda agli investitori il segnale di non voler giocare con l’inflazione per svalutare l’onere reale del debito. Non potrebbe neppure, visto che l’Italia fa parte di Eurolandia, ed ogni aumento persistente dei prezzi domestici causerebbe un (ulteriore) gap di competitività rispetto ai nostri partner comunitari. Ma non scordiamo anche gli aspetti più propriamente finanziari.
Questi circa sette miliardi di euro (una goccia nel mare di 1.900 miliardi di stock di debito pubblico, di cui 1.600 espressi in forma di titoli negoziabili) costeranno il 2,45 per cento reale. Ciò significa che, nel corso della vita del prestito, servirà che il Pil reale cresca più di quel 2,45 per cento annuo medio. Diversamente, dal servizio di questo titolo si produrrà uno sbilancio che significa nuovo debito.
Certo, si potrebbe agevolmente obiettare che non ha molto senso considerare una singola emissione di titoli rispetto all’enorme aggregato di debito, che esprime un proprio costo medio. Ma è dai dettagli che si osserva la big picture. Siamo lieti per questo prodotto, ma cerchiamo di non indulgere al trionfalismo. Il firewall italiano mostra vistose crepe, e questa emissione è tutto fuorché un pasto gratis.