L’economista Paul De Grauwe, oggi alla London School of Economics, che già lo scorso anno aveva spiegato quali sono i problemi di un paese dell’Eurozona rispetto ad uno ad essa esterno (essenzialmente il primo è utilizzatore di una valuta, anche se si tratta della valuta che in esso ha corso legale, mentre il secondo è emittente della divisa), ha pubblicato un paper, dal titolo “Come non essere un prestatore di ultima istanza“, in cui sostiene che le aste triennali di liquidità della Bce (Long Term Refinancing Operation, LTRO) sono destinate a fallire, e che la crisi di debito sovrano è destinata a riesplodere. Unica via, per De Grauwe, è un intervento diretto della Bce sui mercati sovrani.
Le operazioni LTRO sono destinate a fallire, secondo De Grauwe, perché mal concepite rispetto all’obiettivo. In primo luogo, per ottenere un intervento indiretto sul debito sovrano (cioè per mano delle banche) occorre iniettare nel sistema creditizio molta più liquidità di quanta ne servirebbe rispetto ad un intervento diretto. Senza contare che, se qualcosa andasse storto, le banche potrebbero tornare a vendere a mani basse quegli stessi titoli che hanno in precedenza acquistato, riaccendendo la crisi e soprattutto minando la credibilità stessa dell’operazione, che non potrebbe quindi essere ripetuta. In altri termini, secondo De Grauwe, il moral hazard implicito nelle iniezioni di liquidità è ben maggiore di quello che si otterrebbe con intervento diretto, cioè con la Bce che si compra in asta (o sul secondario) i titoli di debito pubblico dei paesi coinvolti.
Altro difetto delle operazioni di LTRO risiederebbe nella riduzione dell’incentivo alle banche ad attuare ristrutturazioni del proprio bilancio, grazie ai presunti “profitti facili” che tali iniezioni di liquidità indurrebbero. A nostro giudizio, questo potrebbe essere vero se le banche non avessero problemi di evaporazione della propria base di depositi. Se invece questo avvenisse (e per alcune banche dei paesi più fragili sta avvenendo), la liquidità della Bce servirebbe semplicemente a galleggiare e ad evitare il peggio, contenendo un brutale credit crunch.
De Grauwe afferma che la resistenza tedesca ad accettare l’intervento diretto ha prodotto la costruzione del LTRO ma che alla fine, quando sarà evidente che l’intervento diretto (o meglio, la sua minaccia, come pensiamo noi) è l’unica soluzione, anche i tedeschi si convinceranno. Diciamo che, per realizzarsi un simile scenario, occorrerebbe anche cambiare i trattati e far cadere il divieto alla monetizzazione del deficit (magari con qualche “interpretazione” della lettera della norma). Oppure, forzando solo un po’ meno la mano, potrebbe tornare di attualità l’idea di dare una licenza bancaria al fondo salvastati ESM, consentendogli quindi di indebitarsi con la Bce, mettendo a leva i contributi dei singoli paesi (il famoso bazooka). Tutte cose già lette, dette e scritte nel momento più buio della crisi, lo scorso novembre.
Ma non sono le tecnicalità a contare, ora. Conta che l’ottimismo sull’esito delle operazioni di LTRO, che appariva granitico, stia volgendosi in dubbio, e non tanto per il paper di un economista quanto per l’andamento recente dei mercati, che sembrano aver assunto un atteggiamento di sfiducia verso paesi che potrebbero subire una recessione molto profonda, quest’anno, tale cioè da vanificare gran parte del percorso di consolidamento fiscale. Anche se oggi il paese sospettato di essere agente di contagio è la Spagna, non dobbiamo scordare che l’elefante nella cristalleria resta l’Italia. Quanto fatto negli ultimi mesi dalla Bce è stato molto importante perché ha evitato un “momento-Lehman” che ci avrebbe fatti a pezzi, ma non bisogna dimenticare che abbiamo solo comprato tempo, in attesa di risolvere gli squilibri strutturali dell’Eurozona. E mai come oggi, in questa parte del mondo, il tempo è denaro. Il tutto ricordando che il Fiscal compact non risolve alcun problema ma è solo il giocattolo con cui tenere tranquilli i tedeschi, al prezzo di avvitare il resto d’Europa in una spirale distruttiva di austerità.