Argentina, una disperata fame di dollari

Nei giorni scorsi, l’agenzia Bloomberg ha segnalato che l’obbligazione sovrana argentina denominata in dollari con scadenza 2017, emessa sotto legislazione locale, è in questi giorni sottoposta a crescente pressione rispetto all’equivalente titolo sottoposto a giurisdizione statunitense. Alla data del primo giugno la prima rendeva quasi il 20 per cento, oltre tre punti percentuali rispetto alla seconda e ben sette punti percentuali di aumento di rendimento nel solo mese di maggio. Il motivo è sempre quello.

L’Argentina ha una disperata fame di dollari, ed i mercati cominciano a sospettare che l’emissione domestica denominata in dollari potrebbe essere convertita in pesos, come già avvenuto nel 2002. Il governo di Buenos Aires ha categoricamente smentito l’eventualità. L’Argentina ha circa 17 miliardi di dollari di debito in scadenza nei prossimi cinque anni, pari al 36 per cento delle riserve valutarie della banca centrale. Per preservare le quali, il governo di Buenos Aires potrebbe decidere di convertire in pesos le emissioni domestiche in dollari.

Solo quest’anno, la presidente Kristina Fernandez ha deliberato l’utilizzo di 5,7 miliardi di riserve in dollari della banca centrale, dopo i 7,5 miliardi prelevati lo scorso anno, a servizio del debito. Il 3 agosto scadrà una obbligazione in dollari. Il default del 2001 è stato per 95 miliardi di dollari ed il paese, essendo un paria sui mercati internazionali dei capitali, sta usando le riserve della banca centrale in dollari (diminuite del 15 per cento nell’ultimo anno) per servire il debito.

Attualmente il cambio del peso al mercato nero (quello dove si aggirano i controlli dei capitali) è di circa il 33 per cento inferiore a quello ufficiale, ed il divario si sta allargando. Gli osservatori ritengono improbabile la conversione forzosa in pesos delle emissioni obbligazionarie domestiche denominate in dollari, perché sarebbe comunque un default selettivo e scatenerebbe una fuga di capitali su scala massiva ben maggiore di quella attualmente in corso. Ma anche ammettendo che le cose vadano effettivamente in questi termini, e quindi che non vi sia conversione forzosa, il problema resta.

Il paese sta perdendo dollari a ritmo accelerato, per effetto della assoluta insipienza della sua conduzione politica, fatta di populismo, scorciatoie e astuzie di corto respiro e massimo danno prospettico. Se la perdita di competitività proseguirà, e anche la bilancia delle partite correnti dovesse passare in rosso, per l’Argentina si profilerebbe una crisi valutaria conclamata. Aspettiamo e vedremo.

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