Con i primi veri caldi, uscendo da un letargo che durava da qualche tempo, dopo i baccanali di comparsate televisive in cui seminava il panico tra giornalisti, politici e sindacalisti, affermando tutto e il contrario di tutto salvo poi ritrarsi e dire che era stato frainteso o che “era una battuta”, è tornato il sottosegretario all’Economia del governo Monti, in quota cicchittiana, Gianfranco Polillo, ed è tornato in forma smagliante. Abolire una settimana di ferie per aumentare il Pil.
Che detto così, visto che il Pil per definizione è funzione anche dello stock di lavoro utilizzato, non fa un grinza. Le grinze arrivano quando si considerano altri elementi. Ad esempio che il maggiore Pil così prodotto finirebbe in scorte, per assenza di domanda. Senza contare che, per raggiungere la maggiore produzione indotta dall’applicazione intensiva della forza lavoro, occorrerebbe anche finanziare il relativo capitale circolante, scontrandosi con la poderosa stretta creditizia.
Ma forse Polillo immagina, da buon economista, che l’aumentato utilizzo dell’input lavoro finirebbe col ridurre i costi unitari di produzione, e questo produrrebbe una deflazione “buona” o una disinflazione, aumentando il potere d’acquisto dei lavoratori e rendendoci più competitivi sull’estero, consentendoci di rubare quote di export ai nostri competitor. In fondo, domanda e offerta trovano un punto di equilibrio sui prezzi, nel bene e nel male. “Se, oppure, però, magari”.
A noi tuttavia viene in mente una lettura non necessariamente derisoria del suggerimento di Polillo. La soppressione di parte dello stock di ferie avverrebbe (immaginiamo) senza monetizzazione. Il che equivarrebbe ad un taglio secco delle retribuzioni e del costo del lavoro, con vistoso recupero di competitività. E se fosse questo, il vero “uovo di Polillo”, camuffato dietro i soliti luoghi comuni sugli italiani che lavorano poco e fanno troppe ferie, anche se le statistiche europee dicono tutt’altro? Beh, se il motivo fosse davvero questo, sarebbe preferibile che Polillo lo esplicitasse. Ne guadagnerebbe (forse) in credibilità, peraltro già messa a repentaglio da “soluzioni” piuttosto problematiche avanzate in passato.
Ma se così fosse, e sperando di non aver sopravvalutato il pensiero di Polillo, ci servirebbe comunque un contesto globale di crescita, per evitare di andare a impiccarci con una deflazione interna che non farebbe che esacerbare i quozienti di indebitamento, pubblico e privato. Senza un contesto di crescita queste soluzioni sono la scorciatoia per il suicidio.