Riprendiamo quanto già discusso un paio di giorni addietro su Twitter, in relazione ad un comunicato della ormai celebre CGIA di Mestre, intitolato in modo piuttosto furbetto oltre che fantasioso, “Con l’euro i prezzi sono aumentati del 25%“. Come spesso accade quando c’è di mezzo la CGIA (ma lo stesso accade quando a dare i numeri sono le sedicenti associazioni di consumatori), la “notizia” ed il suo titolo sono stati strillati a pieni polmoni, nell’afoso silenzio agostano, da praticamente tutti i media, scritti e parlati, senza uno straccio di fact-checking. Che invece sarebbe stato molto utile. Come sempre, del resto.
Dunque, secondo la CGIA Mestre, in dieci anni (e mezzo), l’inflazione italiana sarebbe aumentata del 24,9 per cento. Casualmente, l’arco temporale utilizzato è riferito all’introduzione della moneta unica europea. Con un complesso algoritmo, la radice decima di 24,9, si scoprirebbe che si tratta di un aumento medio annuo ferocissimo, pari a circa il 2,2 per cento. E già questo basterebbe a disinnescare la notizia. Ma è la cosiddetta analisi che merita di lanciare un annuncio per l’adozione immediata di una famiglia di neuroni.
Si comincia bene (senza ironia alcuna), mostrando di comprendere la differenza tra stock e flusso, cosa non da tutti (ad esempio, i leghisti proprio non ci sono mai arrivati):
«E’ opportuno sottolineare che il maggior aumento dei prezzi registrato nel Sud non deve essere confuso con il caro vita. Vivere al Nord – spiega Giuseppe Bortolussi, Segretario della CGIA di Mestre – è molto più gravoso che nel Mezzogiorno. Altra cosa, invece, è analizzare, come abbiamo fatto noi, la dinamica inflattiva registrata in questi ultimi dieci anni»
Assai più opinabile è il suggerimento della CGIA secondo cui la maggiore inflazione registrata nel Mezzogiorno sarebbe per qualche aspetto una sorta di catch-up del Nord:
«La maggior crescita dell’inflazione avvenuta nel Sud si spiega con il fatto che la base di partenza dei prezzi nel 2002 era molto più bassa rispetto a quella registrata nel resto d’Italia. Inoltre, – prosegue Bortolussi – a far schizzare i prezzi in questa parte del Paese hanno concorso anche il drammatico deficit infrastrutturale, la presenza delle organizzazioni criminali che condizionano molti settori economici, la poca concorrenza nel campo dei servizi e soprattutto un sistema distributivo delle merci molto arretrato e poco efficiente»
Ora, potremmo prendere per buona l’analisi se ipotizzassimo effettivamente un decollo dell’attività economica del Mezzogiorno all’inseguimento di quella del Nord, in cui colli di bottiglia (specie a livello infrastrutturale, come correttamente suggerito nel commento) determinano surriscaldamenti e quindi pressione inflazionistica. Mentre sottoscriveremmo la tesi del deficit infrastrutturale e dei colli di bottiglia mafiosi ed anticompetitivi, non ci sembra che segnalare una base di partenza dei prezzi molto più bassa possa implicare un effetto di catch-up, che non c’è stato proprio per le zavorre di cui abbiamo detto.
C’è tuttavia una frase che maliziosamente suggerisce una relazione di causalità che semplicemente non esiste:
«Per quanto concerne le principali tipologie di prodotto, l’euro ha fatto esplodere i prezzi delle bevande alcoliche e dei tabacchi (+63,7%), quello delle manutenzioni/ristrutturazioni edilizie, gli affitti, i combustibili e le bollette di luce, acqua e gas e asporto rifiuti (+45,8%),nonché dei trasporti (treni, bus, metro +40,9%)»
“L’euro ha fatto esplodere i prezzi di…” è un non-senso assoluto, perché non c’è alcuna relazione causale diretta. Basta guardare le tipologie merceologiche a maggiore inflazione per intuire la radice del carovita: qualcuno ha detto accise? Qualcun altro ha detto tariffe amministrate, manovrate sia per tappare i buchi che per ridurre il concorso della fiscalità generale al finanziamento di servizi di pubblica utilità? Quanto al settore abitazione/costruzioni, evidentemente si è trattato di pressione della domanda, anche per recupero del patrimonio immobiliare (agevolato fiscalmente), senza dimenticare che nei prezzi del settore delle costruzioni incide in misura non trascurabile la componente energetica, e così via. Mettere di mezzo l’euro su dinamiche di prezzo che col medesimo nulla c’entrano pare frutto di sciatteria sensazionalistica o di furba strizzata d’occhio a tutti gli eurofobi da dopolavoro che popolano questo paese. Che questo comunicato di CGIA sia stato ripreso da praticamente tutti gli organi di stampa in modo acritico non sorprende più di tanto, vista la condizione media dei nostri media.
A proposito, ma come andavano i prezzi prima dell’euro? Lo potete constatare qui, in caso vi si fosse danneggiata la memoria. Attendiamo commento con incipit sui prezzi “fatti esplodere” dalla lira. Almeno quello sarebbe fattualmente inattaccabile. In subordine, per gli scalatori di vetrate, potremmo sostenere che le revisioni di paniere dei prezzi al consumo sono un complotto della Ue, della Trilaterale e del Bilderberg. Suonerebbe più esotericamente credibile.