«E’ un po’ astratto l’invito che arriva dagli economisti esterni a non curarsi dei partiti, che poi comunque seguiranno. Qualche volta ho pensato di fare questa scommessa e qualche volta l’ho anche fatta. Ma cosa succede poi se i partiti non approvano un provvedimento in Parlamento? E’ magnifico per il presidente del Consiglio, perché si dimette con gloria, ma brutto per il Paese in una situazione di grande tensione»
Mario Monti, 9 settembre 2012
Dilemma democratico.
Se Monti mette il paese e – soprattutto – il parlamento di fronte ad imposizioni dettate dall’emergenza economica, è un “dittatore”. Se asseconda la mediazione partitica, di quegli stessi partiti che, chi più chi meno, ci hanno portato dove ci troviamo attualmente, viene accusato di non essere migliore dei politici eletti e che, in definitiva, “di questi tecnici potevamo anche fare a meno”.
Demagogia e ignoranza, stelle polari di un paese fallito. A partire dai propri cosiddetti rappresentanti. Ma forse, prima o poi (o nella prossima vita), non sarebbe male farsi cogliere dal nichilismo e “dimettersi con gloria”. Per togliere anche l’ultimo alibi alle nullità che, da qui alle elezioni, ci strabilieranno con i loro rutilanti progetti per il paese. Ma forse il problema non sono neppure i rappresentanti, quanto i rappresentati.
Perché, in fondo, se in meno di un ventennio il paese è già saltato due volte sul vincolo esterno, qualcosa vorrà pur dire.