La banca centrale argentina sta considerando nuove regole per ridurre i requisiti minimi di liquidità a carico delle banche commerciali. E quindi?, direte voi. Quindi la notizia è che questo è un caso di allentamento monetario che compensa una stretta causata dall’esigenza di frenare il deprezzamento del cambio del peso contro dollaro. Ma non il cambio ufficiale, ovviamente, bensì quello del mercato nero, che ha la spiacevole tendenza a prendere il volo, muovendosi con la realtà e non con i desideri del governo di Buenos Aires.
Nelle ultime settimane il tasso di riferimento sui depositi bancari è aumentato costantemente: dal 14,5% di marzo al 17,4% di metà luglio. Questo è un piccolo mistero, visto che la politica monetaria argentina è e resta comodamente espansiva, con un tasso di crescita dell’offerta di moneta M2 che a giugno ha toccato il 32% annuale. Che è accaduto, quindi?
E’ accaduto che il governo ha pensato di incoraggiare i risparmiatori a tenere i propri soldi in conti correnti bancari denominati in pesos, e non a comprarsi dollari sul mercato nero. E’ accaduto che l’Istituto di previdenza sociale nazionale, per realizzare questo obiettivo governativo, ha pesantemente ritirato fondi dalle banche commerciali locali, verosimilmente girandoli alla banca centrale. Per la legge della domanda e dell’offerta, ecco che i tassi sui depositi sono saliti. Fatale che l’aumento del costo della raccolta bancaria tenda a trasmettersi al tasso sugli impieghi, cioè a quanto le banche richiedono per prestare i propri soldi. Ecco dunque che, dal maldestro tentativo di tenere sotto controllo (si fa per dire) l’apprezzamento del dollaro contro peso sul mercato nero (l’unico mercato che conti, in Argentina), si è rischiata una stretta creditizia.
Che magari manco ci stava male, visto che le banche prestano a manetta, alimentando inflazione. Ma di certo stava male una stretta monetaria a poche settimane dalle elezioni politiche, e da un vero e proprio referendum sulla presidente Cristina Kirchner. Urgevano correttivi, quindi. Pensa che ti ripensa, la banca centrale argentina sta frugando nel cilindro per trovare un coniglio purchessia, e sta meditando di far entrare anche il denaro presente nei bancomat nel computo delle riserva obbligatoria. Se promettete di non ridere vi diciamo che, in tal modo, le banche avrebbero meno obblighi di detenere liquidità presso la banca centrale, e quindi potrebbero prestare senza alzare il costo del denaro. Il tutto come reazione a catena per aver tentato di contrastare una tendenza spontanea, il fatto che la gente voglia dollari e non pesos, visto che questi ultimi proseguono la loro corsa verso lo stato di carta straccia, a causa di politiche fiscali e monetarie demenziali da parte dell’esecutivo.Superfluo anche segnalare che, se le banche avranno più liquidità, anche i tassi sui depositi scenderanno, vanificando la levata d’ingegno di difendere il cambio del peso contro dollaro sul mercato nero.
Il quale cambio si è fortemente deprezzato, nelle ultime due settimane, dopo che il governo argentino ha deciso di congelare le operazioni di acquisto di titoli denominati in dollari, emessi da società argentine e scambiati sia su mercati esteri che su quelli locali, usando dollari comprati ad un cambio che è più alto del cambio ufficiale, il cosiddetto dòlar Bolsa. Anche qui, il motivo è chiaro: impedire agli argentini di comparsi dollari per tutelare il proprio potere d’acquisto. Le restrizioni hanno provocato (chi l’avrebbe mai detto?) un immediato rialzo del cambio del dollaro sul mercato nero, e vissero tutti felici e contenti. Ah, e nel frattempo nessuno si sta filando i cedines, lo scherzo finanziario che riproduce una patacca di “dollaro argentino”, sanatoria e riciclaggio inclusi. Solo 5,2 milioni di dollari sottoscritti nelle prime tre settimane dal lancio, mentre il governo spera di portare a casa 4 miliardi di verdoni, per alimentare le proprie esauste riserve. Capita, quando si è credibili come una banconota da 30 euro.
Dovrebbe esserci un limite anche alla stupidità, ma l’Argentina, in materia di politica economica, continua a spostarlo più in là.