I sussidiati e gli affondati

In un articolo di Giorgio Ragazzi su lavoce.info, tutta l’essenza dell’italico entusiasmo per le energie “verdi”, per i sussidi e per le furbate al limite della truffa che in questo paese tanto amiamo, con una classe politica caratterizzata da benevola negligenza verso tali pratiche, per usare un understatement.

Leggete che splendido incipit:

«I sussidi alle energie rinnovabili, e al fotovoltaico in particolare, sono forse una delle peggiori vicende di malgoverno, di cui nessuno vuole parlare probabilmente perché la responsabilità è condivisa da destra e sinistra»

Eccola, l’essenza di una classe politica che scruta il futuro mentre lo seppellisce accuratamente. Nel paese della stucchevole “guerra civile fredda”, abbiamo rinvenuto un tratto genuinamente bipartisan.

Ma che è accaduto, in sostanza e soldoni? Questo:

«Il fotovoltaico è partito col decreto Bersani-Pecoraro Scanio che prevedeva come obiettivo il raggiungimento di una potenza istallata di 3 GW nel 2016: oggi si è già arrivati a 17 GW. Non si è trattato dunque di una politica voluta: semplicemente, i governi di sinistra, prima, e di destra, poi, non hanno ridotto gli incentivi mentre crollava il costo dell’investimento e si è quindi offerta una magnifica opportunità di lauti e sicuri profitti a tanti, senza nemmeno il tempo per sviluppare un’industria nazionale»

Perché noi italiani siamo fatti così, appena scorgiamo qualcosa di alto e nobile, come la green economy, ci lanciamo a produrre il danno, il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. E vogliamo talmente vederlo nel mondo che abbiamo ampiamente beneficiato produttori esteri di impianti fotovoltaici, sparando nei piedi alla nostra bilancia commerciale, oltre che (come stiamo per vedere) ai nostri contribuenti-consumatori. Perché alla fine la nostra vocazione non è quella di produrre bensì quella di consumare. Siamo un paese di commerciali, di venditori ed affabulatori. Ed operiamo in un paese in fase di distribuzione/dilapidazione, dopo l’accumulazione delle generazioni che ci hanno preceduto.

Come ormai risaputo anche nei bar di provincia e periferia, noi italiani strapaghiamo la bolletta elettrica a causa di questi patologici e crescenti sussidi, oggi pari a 12 miliardi di euro annui più un altro paio di miliardi per indennizzare le centrali termiche tradizionali che devono integrare cali della produzione di rinnovabili. Un’operazione, come segnala Ragazzi, pari a tre punti di Iva e soprattutto un’operazione effettuata per via amministrativa, attraverso decreti ministeriali che fanno finire in bolletta questi “oneri generali di sistema”. La domanda sorge spontanea: siamo un paese ad alta propensione criminogena, oltre che ad altrettanto elevato spregio del controllo democratico delle decisioni che impattano sui costi per la collettività, oppure siamo soltanto un paese di idioti idealisti? Forse si tratta di domanda retorica.

E quindi, che fare ora che il danno è ampiamente prodotto?  Ragazzi segnala che la via scelta (pare) dal governo e dal ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, cioè l’emissione di debito da parte del GSE (Gestore Servizi Energetici), che finirebbe con l’interporsi (crediamo) tra le tasche dei consumatori (in uscita) e quelle dei produttori di rinnovabili (in entrata), ha lo spiacevole effetto collaterale di produrre nuovo debito pubblico, visto che l’azionista unico del GSE è il ministero dell’Economia. Oltre al fatto che, per mantenere gli sconti in bolletta, occorrerebbe emettere debito crescente nel tempo, per evitare di ricadere nello status quo ante tariffario.

L’alternativa sarebbe quella di ristrutturare il periodo di erogazione dei sussidi, riducendone l’ammontare annuo ed allungando il periodo di pagamento, analogamente a quanto sta facendo la Spagna per sanare il proprio imponente deficit tariffario energetico (ne abbiamo parlato qui). Ma, come già detto in passato, abbiamo il robusto sospetto che ogni iniziativa governativa di rinegoziazione di tempi e modalità di erogazione dei sussidi finirebbe impietosamente cassato dal Tar del Lazio.

Ultima via percorribile (si fa per dire) sarebbe quella di una Robin Hood Tax che addossi ai produttori di rinnovabili che hanno goduto di altissimi ritorni sull’investimento l’onere di far fronte ai capacity payments, sostituendosi ad imprese e privati. Anche qui, sognare non costa nulla, e già sentiamo gli strepiti dei produttori di rinnovabili che, come suggerisce Ragazzi, spesso sono entrati nel business con una altissima leva finanziaria, cioè non hanno praticamente messo soldi propri, perpetuando quella forma di capitalismo da debito che da sempre rappresenta il parassita che sta divorando questo paese.

Qualcosa andrebbe fatto, oltre ad organizzare convegni in cui si denuncia il miserando stato di svantaggio competitivo delle nostre imprese dal lato dei costi di sistema. Il rischio di interventi all’italiana (cioè di ingegneria finanziaria per dilettanti) è quello di minimizzare l’impatto positivo sul sistema e massimizzare il danno per i contribuenti, come da tradizione.

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