Mercati rischiosi in ampio ribasso in settimana e titoli di stato di qualità in recupero su timori per la situazione creditizia della Cina e indici di attività lievemente più deboli da Stati Uniti e Cina, mentre l’Europa mostra un’accelerazione. Valute emergenti e dei produttori di materie prime le più colpite dai ribassi. Quanto rischio esiste per lo scenario di crescita?
I dati degli indici dei direttori acquisti erano cresciuti ben oltre le attese, sulla fine del 2013, ed il ridimensionamento dell’ultima rilevazione non cambia il quadro positivo. Di lettura più incerta, ma anche potenzialmente più preoccupante, è la situazione cinese. Il dato non ufficiale dell’indice dei direttori acquisti manifatturieri, elaborato da Hsbc e relativo soprattutto a piccole e medie imprese operanti nelle regioni costiere (la spina dorsale dello sviluppo cinese) mostra una contrazione dei livelli di attività, con debolezza in particolare nella componente riferita ai nuovi ordini, e con aumento dei livelli di scorte. Ciò prevede un rallentamento dell’economia, a cui si somma il crescente rischio di default di alcuni importanti prodotti di investimento. Pare quindi crescere sia il rischio di un hard landing dell’economia cinese che quello di una crisi simile a quella dei mutui subprime, che trova condizioni favorevoli nell’imponente aumento dell’indebitamento rispetto al Pil, nella presenza di una vasta speculazione immobiliare, di una pervasiva presenza del settore creditizio informale e non regolamentato (il cosiddetto shadow banking), oltre che dal convincimento, tra la classe dirigente politica cinese, che gli investitori avrebbero molto da imparare da una serie di default. Occorre tuttavia tenere presente che le autorità cinesi mantengono controllo sull’economia ben maggiore di quello dei paesi occidentali, anche se non è opportuno minimizzare i rischi di volatilità globale per i mercati indotti dalla situazione cinese.
L’ipotesi di consenso vede la crescita in accelerazione negli Stati Uniti e migliori prospettive in Eurozona nel breve termine, mentre per il lungo termine continua a mancare una strategia di crescita. Nei paesi emergenti le previsioni restano di debolezza della crescita, soprattutto in conseguenza di azioni per ridurre l’espansione creditizia, con rialzi dei tassi ufficiali per difendere il cambio o comunque evitarne cadute rovinose, data la spesso rilevante esposizione debitoria in valute forti delle aziende locali.
Sul mercato dei titoli di stato, settimana di rally per i mercati sviluppati, con rendimenti decennali in calo di 5-10 centesimi, con l’eccezione dei paesi periferici dell’Eurozona, penalizzati dallo stesso fattore che li aveva sin qui premiati: la propensione al rischio, voltasi in avversione. Negli Stati Uniti sono proseguite le ricoperture, aiutate da un dato degli indici dei direttori acquisti lievemente meno tonico del previsto. In Regno Unito, il governatore della Bank of England, Mark Carney, a seguito della forza manifestata dal mercato del lavoro, che ha rapidamente abbassato il tasso di disoccupazione in prossimità di livelli critici per le scelte di politica monetaria, ha deciso di abbandonare la forward guidance, limitandosi ad affermare che i tassi resteranno bassi. Ora resta da capire se ed in che modo questa vicenda abbia danneggiato la credibilità della banca centrale.
Sul mercato azionario, i dati di attività pubblicati in settimana hanno deluso gli investitori, soprattutto riguardo la manifattura e malgrado la controtendenza dell’Eurozona. I paesi emergenti restano al centro della turbolenza, con forti deprezzamenti delle proprie valute, che hanno consentito di limitare il danno sulla performance azionaria in valuta locale. I timori per la congiuntura cinese si sono sommati a quelli per gli effetti restrittivi del tapering della Fed, determinando forte aumento di volatilità (da livelli pressoché inesistenti) e consistenti ribassi sui mercati azionari.
Sul mercato delle obbligazioni a spread, in settimana si sono registrati allargamenti spinti dalla generale ripresa dell’avversione al rischio, che si è abbattuta su mercati già piuttosto tirati. Il rischio, per questi mercati, è che situazioni di calo di liquidità vengano esacerbate dal fatto che le banche, a seguito delle nuove norme regolatorie, hanno di fatto perso la capacità di porsi come fornitori di liquidità di ultima istanza.
Sul mercato dei cambi si è verificato lo scoppio di volatilità che molti attendevano, visti i recenti livelli minimi della medesima. Con essa, si sono verificati pesanti ribassi per lira turca, rublo russo, dollaro australiano, real brasiliano ed un crollo per il peso argentino, oltre ad un inevitabile recupero (spinto da avversione al rischio) per yen e franco svizzero. Poiché la volatilità, anche dopo lo scoppio di questa settimana, resta a livelli storicamente non elevati, e data la non chiara evoluzione cinese (che potrebbe rappresentare elemento sistemico globale), si pone la messa in discussione dello yen (ed in misura minore del franco svizzero) come veicolo di finanziamento di operazioni di carry trade. Le prossime settimane diranno come la Cina evolverà sotto l’aspetto della crescita e della gestione di alcune situazioni di dissesto creditizio, che potrebbero riguardare i privati e gli enti locali.
In settimana, materie prime in rialzo di circa il 2% in dollari, guidate dall’energia, mentre metalli base ed agricoltura hanno sofferto ribassi. I prezzi dell’energia sono stati sostenuti da un clima rigido oltre le medie stagionali negli Stati Uniti e da cali di produzione nel Mare del Nord. Il freddo rischia di produrre danni di una certa entità alle colture agricole negli Stati Uniti, ad esempio al grano, soprattutto nelle aree in cui non vi è manto nevoso a proteggere dalla penetrazione del ghiaccio nel suolo.