Macromonitor – 30/3/2014

Settimana di recuperi per l’azionario e l’obbligazionario periferico europei, su speranze che la Bce attui una qualche forma di easing quantitativo per contrastare rischi deflazionistici, dopo le parole possibiliste di Jens Weidmann. Azionario statunitense in lieve flessione. Un bilancio del primo trimestre, giunto al termine.

Un trimestre non facile, nel quale la tanto attesa accelerazione della crescita non si è materializzata, e di conseguenza l’altrettanto atteso rialzo dei rendimenti obbligazionari si è volto nel suo contrario. E’ proseguita la sofferenza dei mercati emergenti, anche se nell’ultimo periodo si notano segni di stabilizzazione, se non di effettiva ripresa. Le stime di consenso sulla crescita statunitense del primo trimestre, che a inizio anno erano sul 3% annualizzato, sono ora state ridimensionate di mezzo punto o poco più. Questo ridimensionamento tende ad essere imputato alle avverse condizioni meteo: il riscontro lo avremo nel secondo trimestre. Il consenso sulla crescita degli emergenti è stato ulteriormente tagliato, sino ad un punto percentuale pieno, anche per effetto del rallentamento cinese, ormai evidente.

Cresce intanto il dibattito in seno alle banche centrali circa la necessità di preservare la stabilità finanziaria, cioè prevenire la formazione di bolle, come mandato della politica monetaria, in aggiunta al controllo dei prezzi di merci e servizi. Questo dibattito è molto importante perché appare ormai evidente che non si riscontrano da nessuna parte condizioni di surriscaldamento dell’economia quanto prezzi degli attivi rischiosi, come l’azionario o l’obbligazionario high yield che appaiono elevati, in prospettiva storica. Alcuni importanti movimenti verificatisi nell’ultimo periodo, come la ripresa di interesse per i mercati emergenti o la vistosa correzione di settori a multipli molto elevati (biotecnologie, internet) possono al momento essere imputati a prese di profitto di posizioni costruite nel corso del trimestre, e che hanno reso molto, rispettivamente al ribasso e al rialzo.

Sul mercato dei titoli di stato, la settimana ha visto un ribasso dei rendimenti dei paesi sviluppati. La parziale eccezione è rappresentata dagli Stati Uniti, dove il decennale ha effettivamente visto una lieve flessione dei rendimenti, ma la parte a breve della curva ha segnato un rialzo (con conseguente appiattimento della curva), ancora per effetto di rivalutazione da parte del mercato delle determinazioni del FOMC della Fed, che potrebbero portare ad un percorso di rialzo dei tassi più ravvicinato nel tempo ed accelerato di quanto sinora previsto, se la crescita tornerà a dare segni di vita. In Eurozona, gli ultimi dati confermano che esiste un rischio al ribasso per l’inflazione, che potrebbe portare alla necessità di interventi della Bce, che in astratto non sono stati esclusi neppure dal capo della Bundesbank, Jens Weidmann.

Sui mercati azionari, la settimana ha confermato la sottoperformance delle azioni a bassa capitalizzazione, quelle più sensibili alla crescita, che era in atto già da qualche tempo. Considerazioni analoghe, su capitalizzazioni più elevate, per le azioni value, che stanno da qualche tempo facendo meglio delle azioni growth.

Sul mercato delle obbligazioni a spread, nell’ultimo mese il vistoso allargamento che ha colpito gli spread di emittenti societari russi ha avuto un impatto nel complesso contenuto, qualora non propriamente nullo, su altri emittenti dell’area Est europea. Il contributo della Russia a fatturati ed attivi finanziari occidentali resta limitato, ma un eventuale inasprimento delle sanzioni rischia di avere ricadute negative soprattutto sul settore bancario europeo ed in misura minore su quello asiatico, oltre a produrre rischi al ribasso per la crescita europea, derivanti da una crisi energetica legata alle forniture russe.

Sul mercato dei cambi, in settimana si sono registrati movimenti di una qualche ampiezza ed in alcuni casi opposti alle attese (ed alla teoria). Gli esiti del meeting della Fed, che hanno indotto un rialzo dei rendimenti sulla parte breve della curva dei Treasury hanno prodotto (come da attese) un rafforzamento del dollaro contro euro e yen; lo stesso non è accaduto nei confronti delle valute emergenti e di quelle dei paesi produttori di materie prime, che tuttavia si trovavano da tempo in condizione di forte debolezza contro il dollaro. Resta quindi in qualche modo valida l’ipotesi che la fine del trimestre porti con sé delle prese di profitto sui trades più redditizi, che producono movimenti paradossi di questo tipo.

Il primo trimestre si è dimostrato favorevole alle materie prime, cresciute in aggregato del 4% in dollari nel corso del periodo, con guadagni di circa il 15% per le materie prime agricole, per effetto congiunto sia della siccità negli Stati Uniti che dei timori di interruzioni ai flussi commerciali in conseguenza delle tensioni su Ucraina e Russia. Male nel trimestre i metalli industriali, a seguito delle revisioni al ribasso delle stime di crescita cinese.

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