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La stima preliminare del Pil giapponese del terzo trimestre non è particolarmente brillante, pare. Si conferma che, quando c’è da produrre illusioni e delusione, l’economia del Sol Levante non delude mai.

Il calo trimestrale è dello 0,4%, quindi l’annualizzato (secondo il criterio di calcolo americano) è dell’1,6%. Sul dato influisce negativamente la domanda domestica, in particolare il forte decumulo di scorte, e le costruzioni residenziali. Anche il commercio estero, pur segnando un contributo lievemente positivo, appare il grande assente della crescita giapponese, con la sua contrazione delle importazioni che è conseguenza del forte deprezzamento dello yen, ed un andamento quasi piatto dell’export, che mostra la debolezza della congiuntura globale e la fallacia di pensare che sia possibile sollevarsi da terra tirandosi per le stringhe ed esportando la propria deflazione.

Il colpevole di questo pessimo risultato è considerato l’aumento dell’Iva dal 5 all’8%, scattato lo scorso primo aprile col nuovo anno fiscale, ma questa rischia di essere una spiegazione solo parziale oltre che perfetta per lenire le dissonanze cognitive di molti. Sicuramente l’aumento di imposte indirette ha avuto un effetto depressivo sulla domanda interna, portandosi dietro gli investimenti ma non bisogna dimenticare che tutto il castello della Abenomics, o meglio della sua freccia monetaria, poggia su fondamenta molto fragili. Ciliegina avvelenata sulla torta: anche il Pil nominale, destagionalizzato, segna una variazione negativa, dello 0,8% trimestrale. Questo è il dato negativo per definizione.

Dunque, riepiloghiamo: un forte deprezzamento del cambio impoverisce pensionati e lavoratori a stipendio fisso, che in Giappone sono la stragrande maggioranza, visto il sistema ferocemente duale del mercato del lavoro; nelle grandi imprese protette e fortunate le aziende preferiscono pagare bonus ad aumenti della componente fissa (pare sia logico, ma non tutti ci arrivano, a Tokyo e non solo). Oltre ciò, l’universo delle piccole imprese, che sono terziste dei grandi conglomerati, sta morendo soffocato dall’esplosione dei costi all’importazione. Forse invocare che la Bank of Japan sia credibilmente irresponsabile, per produrre stabili e crescenti aspettative inflazionistiche non è la soluzione migliore, perché passerebbe per un impoverimento generalizzato della popolazione. Però le grandi imprese si godono grassi margini, anche se non proprio tutte, in funzione delle componenti di costo importate. Meglio che nulla. O no?

Qualcuno pensava che le cose sarebbero andate diversamente? Non chi legge con regolarità questo piccolo sito, ma anche questi sono dettagli. E comunque, non è finita sin quando è finita. Quanto a capacità divinatorie, i Masters of the Universe non se la passano benissimo, si direbbe:

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