Macromonitor – 16/11/2014

Continua il positivo andamento degli indici azionari, soprattutto per gli Stati Uniti, a nuovi massimi storici assoluti. Ancora ribassi per le materie prime, soprattutto a causa del petrolio.

Il quadro economico di questi anni post-crisi, come noto, si caratterizza per una crescita debole, con frequenti revisioni al ribasso. La chiave di lettura prevalente è che ci troviamo di fronte ad un problema di carenza di domanda aggregata, ma occorre considerare che anche dal lato dell’offerta sembra esserci qualche problema, come indicato dall’andamento debole della crescita di produttività ed offerta di lavoro. Le interpretazioni di questa situazione, e le relative prescrizioni di politica economica, sono molteplici e non univoche. Il maggiore effetto della debolezza dal lato dell’offerta appare il calo del ritorno sul capitale, che a sua volta determina un minore tasso d’interesse reale d’equilibrio, a cui concorre anche la tendenza post-crisi all’aumento del tasso di risparmio. Un debole lato dell’offerta implica il rischio che il Pil potenziale sia inferiore a quanto ci si attende o, detto in altri termini, che lo sia la capacità in eccesso (output gap). Di conseguenza, il rischio di inflazione potrebbe materializzarsi prima del previsto, spiazzando le banche centrali. Ma un potenziale basso implica comunque che il ciclo rialzista dei tassi della Fed potrebbe arrestarsi prima e ad un livello inferiore a quanto tipicamente avveniva nei precedenti cicli economici. Sui mercati azionari il basso ritorno atteso sul capitale non è elemento positivo ma è stato sinora compensato dalla debole crescita salariale oltre che dalla espansione dei multipli, due condizioni che appaiono non mantenibili nel prossimo futuro. Di conseguenza, i mercati che saranno favoriti dagli investitori appaiono quelli che riusciranno ad innalzare il proprio potenziale di crescita e ritorno sul capitale. Tra essi si citano India e Messico, malgrado i non lievi problemi di quest’ultimo in termini di criminalità organizzata e corruzione.

Sul mercato dei titoli di stato, settimana mista con lievi rialzi dei rendimenti per gli Stati Uniti sul decennale, mentre Eurozona e (soprattutto) Regno Unito hanno visto flessioni. In Regno Unito l’Inflation Report di novembre della Bank of England è risultato molto confortante per i mercati obbligazionari, con un sostanziale rinvio delle attese di rialzo dei tassi che può essere letto come risposta all’andamento molto contenuto dell’inflazione core ed il riconoscimento dei rischi al ribasso per la crescita derivanti dalla condizione dell’Eurozona. Tuttavia il report sul mercato del lavoro, pubblicato separatamente, ha evidenziato segni di accelerazione della crescita salariale. Il mercato britannico prezza il primo rialzo dei tassi ufficiali solo a inizio 2016 mentre il consenso degli analisti lo posiziona ancora a metà del prossimo anno. Negli Stati Uniti in ottobre si è registrato un nuovo calo del tasso di disoccupazione, giunta al 5,8% ancora in assenza di pressioni salariali, anche se molti osservatori ritengono che questi valori di disoccupazione potrebbero presto evidenziarne.

Sui mercati azionari, la settimana è stata perlopiù invariata a livello di indici globali, col Giappone primo della classe con un rialzo di circa il 2% in valuta locale. Crescono le probabilità di un ricorso anticipato alle urne da parter del premier Shinzo Abe e, soprattutto, di un rinvio del nuovo rialzo dell’Iva, previsto per il prossimo anno fiscale.

Sul mercato delle obbligazioni societarie, il forte e rapido calo dei prezzi del greggio sta creando qualche rischio al mercato high yield statunitense, composto per poco meno del 20% da emittenti del settore energia. Stante l’attuale livello del greggio (75 dollari al barile) cresce la probabilità che, a meno di tagli sostanziali degli investimenti, si registri nei prossimi mesi un aumento non lieve del tasso di default settoriale.

Sul mercato dei cambi, il Dollar Index (media dei cambi contro dollaro di un paniere di valute, in cui l’euro rappresenta quasi il 60%) ha segnato in settimana il nuovo massimo da cinque anni. Ma altrettanto rilevanti sono stati i movimenti contro il biglietto verde di singole divise: ad esempio, il nuovo minimo assoluto del rublo, quello degli ultimi nove anni del real brasiliano, quello da sette anni dello yen e quello da un anno della sterlina. Di rilievo il fatto che la forza del dollaro si manifesti pur con un andamento stazionario dei rendimenti sulla parte breve della curva, col Treasury a due anni che da settembre fatica a stare sopra lo 0,6%. Inoltre, in termini di posizionamento degli investitori, il dollaro non appare ancora particolarmente tirato. Tra le altre coppie di divise, si segnala il cross tra franco svizzero ed euro, che è ormai a ridosso del “pavimento” di 1,20 stabilito dalla banca nazionale svizzera qualche anno addietro, e che anche per questo motivo mostra una volatilità elevata e crescente.

Ennesima settimana di ribassi per le materie prime, pari al 3,5% in dollari, ancora una volta trainati dal greggio. Il mercato continua a scommettere sul fatto che l’Opec, nel proprio meeting (peraltro ordinario) del 29 novembre non riuscirà a trovare un accordo sui tagli di produzione necessari a sostenere i prezzi. Lieve ribasso settimanale per i metalli industriali, per effetto dei deboli dati di attività cinese.

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