Dopo lo spettacolare scatto delle quotazioni delle banche popolari che dovranno convertirsi da cooperative a SpA per volere del governo, si sono immediatamente levati cupi brontolii di insider trading, in particolare con riferimento al caso, piuttosto delicato, della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio. Si fa presto a dire insider, però. E comunque, uno sguardo rigorosamente esterno e basato su dati pubblici magari aiuta.
Per aversi fumus di insider trading servirebbe almeno una anomalia, quando non due: aumento di volumi e prezzo delle azioni interessate nei giorni precedenti l’annuncio. Diciamo meglio: servirebbe aumento dei volumi in assenza di rialzo anomalo dei prezzi, dove l’anomalia sarebbe data da sovraperformance dell’azione interessata rispetto al suo settore. Il motivo è intuitivo: se l’azione appartiene ad un settore che cresce più dell’indice si dovrebbe andare molto cauti, prima di formulare ipotesi di insider. Non che questi “sintomi” escludano la possibilità di insider, sia chiaro. E’ solo che serve indagare più in profondità, prima di lanciarsi in ipotesi cospirazionistiche.
Veniamo alla Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, che è finita sotto i riflettori per l’ampiezza del rialzo ma soprattutto perché legata alla famiglia del ministro delle Riforme (che della banca è anche azionista). Se si analizza l’andamento di prezzi e volumi di questa azione, si può agevolmente constatare che nulla di anomalo accade sino al giorno precedente il consiglio dei ministri che ha poi deciso la misura per le banche popolari di maggiori dimensioni. Tra pochissimo parleremo di quel famoso lunedì 19 gennaio. Il vero strappo di prezzi e volumi accade il 21 gennaio, giorno successivo a quel consiglio dei ministri. E a quel punto, per definizione, non c’è proprio anomalia. Riguardo l’entità dell’apprezzamento successivo dell’azione, si può agevolmente ipotizzare che c’entri il suo ridottissimo flottante e la presenza di ricoperture da panico. Comunque sia, e sino a prova del contrario, non ci pare di vedere alcun indizio di attività anomala.
Se ripetete lo stesso esperimento con le altre popolari, otterrete evidenze assai meno “pacifiche”, su prezzi e volumi quel famoso lunedì 19 gennaio. Considerato tuttavia che, il weekend precedente, Renzi si era issato sul balcone proclamando che avrebbe ridotto il numero di banchieri così come fatto per quello dei parlamentari (sic), diciamo che intenzioni ed intuizioni non erano poi così arcane. L’insider trading però è altra cosa, soprattutto in termini di giorni di durata di aumento “anomalo” dei volumi.
Quindi, per sintetizzare: è certamente censurabile che il ministro Boschi, nel suo ruolo di azionista, non abbia sentito la necessità e la sensibilità minimale di astenersi in un cdm con siffatto ordine del giorno, almeno sul punto sensibile. Purtroppo, questo paese appare da sempre geneticamente avverso a sanzionare il concetto di conflitto d’interesse sul piano culturale prima ancora che su quello legislativo (quest’ultimo, in fisiologia, dovrebbe tuttavia conseguire dal primo). Questa è la valenza politica del discorso, e non è affatto lieve. Ma gli indizi classici di insider trading, in questo caso specifico, non appaiono ravvisabili. Sino a prova del contrario.
Aggiornamento del 27 gennaio – Il ministro Maria Elena Boschi, in una comunicazione al Fatto Quotidiano, precisa che
«Non mi sono astenuta, è vero, ma prima di gridare allo scandalo basterebbe capire il perché: non mi sono astenuta semplicemente perché non ero presente a quella riunione del Consiglio dei Ministri. E non ho partecipato perché ero impegnata in Parlamento nel percorso di riforme costituzionali e sulla legge elettorale»
Prendiamo atto anche noi. Un vero peccato che i verbali dei cdm che registrano le presenze non siano resi pubblici. Nell’era della trasparenza renziana, una piccola pecca.