Cresce l’occupazione, ma è ciclica ed ha i capelli bianchi

E alla fine, dopo tanta attesa, arrivano gli agognati dati positivi sull’occupazione italiana, sia su base mensile (aprile) che relativi al primo trimestre 2015. Alcuni quozienti sembrano finalmente usciti dal corridoio di oscillazione in cui stazionavano cocciutamente da troppo tempo. Sotto la superficie, il dato conferma tuttavia alcune anomalie, a prescindere da quelle statistiche.

Cominciamo dalle buone notizie, di cui c’è -apparentemente- solo l’imbarazzo della scelta. Su il tasso di partecipazione alla forza lavoro e quello di occupazione, giù quello degli inattivi; giù quello di disoccupazione; su il numero di occupati mensili, di 159.000 unità ad aprile su marzo 2015, e di 261.000 unità su base annuale; in crescita anche l’occupazione tendenziale trimestrale, di 133.000 unità, pari allo 0,6%. Sembra tutto eccellente ma sotto la superficie le criticità restano. Cominciamo da questa, grassetto nostro:

Rispetto a 12 mesi fa aumentano sia i dipendenti permanenti, di 36 mila unità (+0,2%), sia i dipendenti a termine, di 72.000 unità (+3,5%). Ininterrotta dal 2010, prosegue la crescita degli occupati a tempo parziale, anche se a ritmo meno sostenuto (+0,7%, 28 mila unità nel raffronto tendenziale). L’aumento riguarda quasi del tutto il part time involontario, ossia il lavoro a orario ridotto accettato in mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno. L’incidenza del part time involontario sul totale dei lavoratori a tempo parziale sale al 64,1% (era il 62,7% nel primo trimestre del 2014).

Premesso che chiunque parli di impatto del Jobs Act sull’occupazione del primo trimestre dice una emerita sciocchezza, visto che il Jobs Act è entrato in vigore all’inizio di marzo (discorso differente per i sussidi alle assunzioni a tempo indeterminato, attivi dal primo gennaio), il dato del part time involontario in costante ascesa, sia pure con trend in rallentamento, indica un mercato del lavoro ancora sofferente. Se poi andiamo a contestualizzare il dato in base alla congiuntura esterna, caratterizzata (come detto ormai sino alla nausea) da una serie di elementi positivi pressoché irripetibili (cambio dell’euro, prezzo del greggio, rendimenti obbligazionari in calo incluso -in parte- il costo del credito bancario), non dovrebbe essere difficile comprendere che stiamo festeggiando un dato che, per quanto di per sé inequivocabilmente positivo, ha comunque natura pressoché interamente ciclica.

E’ poi possibile verificare che spesso un dato positivo in superficie smette di essere tale analizzandolo. Ad esempio, sul trimestre, ecco un vero boom occupazionale. Ma è quello sbagliato, diciamo:

Nel primo trimestre 2015 gli occupati over 55 erano 267.000 in più rispetto allo stesso periodo 2014 (133.000 l’incremento in tutte le fasce di età). Lo si legge nelle tabelle dell’Istat. Dal primo trimestre 2010 al primo 2015 gli anziani al lavoro sono oltre un milione in più grazie anche alla stretta sulle regole sulle pensioni (Ansa, 3 giugno 2015)

In sostanza, suggerisce Istat, la crescita annua di occupazione del primo trimestre è fatta in modo sproporzionato dalla coorte anagrafica 55-64 anni. Non solo: i senior sono specularmente “protagonisti” anche nel calo degli inattivi:

Nel primo trimestre 2015 prosegue il calo tendenziale del numero di inattivi tra 15 e 64 anni (-0,4%, -51 mila unità), ininterrotto da cinque trimestri. Tale riduzione, diffusa sia tra gli uomini sia tra le donne, è dovuta soltanto alle persone con più di 54 anni a fronte della crescita di inattivi sia tra i 15-34enni sia tra i 35-54enni, in quest’ultimo caso soprattutto uomini.

Già questo dovrebbe suggerire che si tratta di un dato positivo ma non troppo. Ed infatti, estendendo lo sguardo alle componenti dell’inattività, abbiamo queste considerazioni Istat:

La riduzione del numero di inattivi 15-64enni è dovuta alla componente più distante dal mercato del lavoro, vale a dire coloro che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare (-369 mila unità). Sostanzialmente stabile il numero di quanti cercano un impiego ma non sono immediatamente disponibili a lavorare.

Di contro non si arresta l’aumento di quanti si dichiarano disponibili a lavorare (311 mila in più rispetto a un anno prima, +9,5%), ovvero sia chi ha cercato lavoro ma non nelle quattro settimane precedenti l’intervista, sia chi non lo ha cercato ma vorrebbe lavorare. La crescita di queste due componenti è concentrata nel Mezzogiorno.

Riguardo ai motivi dell’inattività, continua a crescere lo scoraggiamento (+2,7%, 52 mila unità) e soprattutto l’attesa degli esiti di passate azioni di ricerca (+18,8%, 124 mila unità), mentre prosegue la forte riduzione delle persone ritirate dal lavoro o non interessate a lavorare (-7,6%, 259 mila unità in meno) che in circa nove casi su dieci coinvolge i 55-64enni, anche per via delle mancate uscite dal lavoro generate dall’inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione.

In sintesi:

  • L’occupazione sta crescendo per ripresa ciclica;
  • Al momento (ma il dato ha dei ritardi di aggiornamento), non è tuttavia stato ancora inciso in modo significativo l’iceberg dei part time involontari, cioè di quanti vorrebbero lavorare a tempo pieno ma non possono farlo, per situazioni di crisi aziendale o per mancato reperimento del posto di lavoro desiderato;
  • La crescita di occupazione è fatta in misura abnorme da “anziani” che sono “incastrati” nel loro posto di lavoro;
  • Specularmente, il calo degli inattivi è da imputare in modo significativo ancora agli anziani che non sono ancora riusciti a raggiungere l’agognata pensione, mentre il numero di soggetti che si dichiarano scoraggiati è ancora in crescita.

Su tutto, per l’ennesima volta: un’economia che cresce in modo debole non genera occupazione. Attendiamo quindi i dati dei mesi prossimi, tenendo un occhio sulla congiuntura esterna. E portiamo ancora una volta pazienza di fronte alle solite sortite da House of Three Cards, in cui si attribuisce la crescita occupazionale (tutta, si badi) al Jobs Act. Salvo poi dire, nei mesi in cui l’occupazione cala, che funzione del Jobs Act è quella di ridurre il precariato e dare diritti, non di creare occupazione. Continua a volerci molta pazienza. Ma il tempo resta galantuomo, persino in Italia.

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Lettura complementare consigliata: Alberto Annicchiarico su Econopoly. Occhio al grafico, soprattutto. Parla, anzi urla, da solo.

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