La bad bank del lavoro

Una delle costanti del dibattito pubblico italiano degli ultimi stressanti e stressati anni, che hanno visto la proliferazione di proiettili d’argento e santoni assortiti, in grado di risolvere i problemi con un tocco di bacchetta magica, è quello della creazione di occupazione giovanile a mezzo di fuoriuscita dalle imprese di quella “anziana”. Come spesso accade in questo paese superfisso e pietrificato, si tratta di un’evidente fallacia. Che tuttavia, proprio in quanto tale, è assai dura a morire e trova sempre nuovo alimento e propagandisti. A questo giro, il mito della “staffetta generazionale” pare occultare esigenze molto specifiche ma non completamente confessabili.

La premessa, si diceva, è quella di “fare spazio” ai giovani nelle imprese. Questo mito popolare può essere ascoltato nei mercati rionali e nelle occasioni di convivio in tutto il paese: “continuando ad alzare l’età pensionabile, quando mai i nostri giovani potranno trovare lavoro?”. Ovviamente, dietro questo argomentare si cela anche il sempiterno desiderio di andare in pensione presto o relativamente presto. Ma appare sempre più evidente che vi sono anche esigenze del mondo aziendale di accelerare il ricambio delle tipologie contrattuali, e trasferire il prima possibile gli organici al regime del contratto “a tutele crescenti” del Jobs Act.

Ed il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, raccoglie questi desiderata aziendali e li rilancia, non prima di aver ammantato il tutto con la fallacia superfissa, intervenendo questa mattina a Radio Anch’io:

«Bisogna produrre un elemento di flessibilità in uscita perché la legge Fornero è troppo rigida e ha costruito un muro tra chi è dentro e deve restare al lavoro e i giovani che sono fuori. Lavoreremo anche alla staffetta generazionale perché ce lo chiedono le aziende»

È francamente bizzarro che questa benedetta o maledetta legge Fornero sia diventata una sorta di signor Malaussène dei mali d’Italia, il perfetto capro espiatorio per ogni desiderio frustrato di moltiplicare i pani ed i pesci. Prima era la carente flessibilità in entrata, e la cosa poteva anche starci; ora è pure la flessibilità in uscita. Presto avremo la riedizione di un noto motto in: “piove, legge Fornero ladra”. Parlando seriamente, nei limiti in cui si possa restare seri leggendo certe tesi, è quantomeno bizzarro che Poletti sostenga l’idea della “apartheid generazionale” dell’età di pensionamento, apparentemente fregandosene del mostruoso disequilibrio tra contribuzione e rendita previdenziale, e che ponga in esplicita “correlazione causale” la permanenza al lavoro degli “anziani” e la disoccupazione giovanile. Superfisso, appunto. Ma il punto più interessante è quel “ce lo chiedono le aziende”.

Si tratta, come detto, di agevolare l’uscita dal lavoro di gente che ha retribuzioni e rigidità contrattuali ben più elevate di quelle dei giovani che potrebbero essere assunti al posto loro. E quindi di accelerare, spesso in modo sensibile, il turnover verso il contratto a tutele e monetizzazione crescenti. Bene, ma se le cose stanno in questi termini, ed è piuttosto evidente che lo siano, saremmo di fronte alla riedizione applicata al lavoro del concetto di bad bank pubblica per crediti in sofferenza. Con quest’ultima si promette al popolo che le banche torneranno a far credito a costi inferiori, dopo la “ripulitura”; con la staffetta generazionale si promette ai giovani ed alle loro famiglie che sarà più facile trovare un impiego. E vissero tutti felici e contenti? Non proprio, perché bisogna considerare la realtà. Ad esempio, dopo aver escluso aberrazioni tribalistiche come l’interpretazione letterale della staffetta generazionale, col padre che lascia nominativamente il lavoro al proprio figlio, resta da capire chi pagherebbe i costi delle uscite anticipate dal lavoro.

Secondo le norme della Ue, che (tanto per gradire) sono piuttosto stupide, visto che considerano solo il profilo corrente degli esborsi pensionistici e non il valore attuale netto delle passività previdenziali, qualsiasi uscita anticipata dal lavoro crea problemi. Anche quelle in cui l’assegno viene integralmente ricalcolato col metodo contributivo, nella estensione erga omnes della nostra Opzione Donna. Ma questo sarebbe superabile, se si volesse intavolare un negoziato con Bruxelles. Il problema è che l’eventuale manovra di uscita anticipata non può tradursi in alcun caso in aumento del valore attuale degli oneri previdenziali in capo ai contribuenti italiani, presenti e futuri. Questa deve essere la linea rossa definitiva. Quindi, dovrebbe essere messo in chiaro che devono essere le aziende a pagarsi la rottamazione del lavoro “anziano”, secondo i loro calcoli di convenienza. Al limite, compartecipando ai costi in capo al lavoratore che vuole uscire prima. Ogni altra ipotesi, tale da colpire i contribuenti oggi e domani, va rigettata.

Ma ne riparleremo (forse) alla prossima Legge di Stabilità, sulla quale stanno cumulandosi attese messianiche ed altrettanto pesanti inquietudini, legate al disinnesco delle clausole di salvaguardia. Per ora, Poletti si fa ambasciatore della proposta di fonte aziendale, pur omettendo di indicarne la fonte precisa, e tratteggia una cosa del genere:

Secondo Poletti, la staffetta generazionale suggerita dalle imprese potrebbe basarsi su un mix tra lavoro part time per chi è sulla soglia della pensione e contratti di apprendistato “o forme più appropriate per chi deve entrare nel mondo del lavoro” (Radiocor, 4 giugno 2015)

Anche qui: l’eventuale part time degli “anziani” non può avvenire con oneri pubblici, magari attraverso integrazione contributiva, se non anche retributiva, alla retribuzione piena. Quanto ai contratti di apprendistato “o forme più appropriate”, torniamo al punto di partenza: si vogliono tipologie contrattuali low cost, dal lato della contribuzione e/o del netto in busta, oltre che la licenziabilità piena ed “a vista” dei neo-assunti? Anche qui, niente oneri pubblici, grazie. Aspettiamo e vediamo, ma siamo “fiduciosi” che passerà anche questa senza che nulla accada. E meno male per le nostre tasche, diciamo.

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