Il vasetto di yogurt greco di Pandora

Mentre attendiamo l’ufficialità sul piano di “riforme” greche sottoposte ai creditori, e mentre l’intera vicenda è ormai sempre più surreale, è utile raccogliere alcuni pensieri in ordine sparso, per mettere a fuoco l’eventuale punto di arrivo. Che a nostro giudizio resta fortemente problematico per non dire disperato.

Intanto, la proposta greca. Se è corretto quanto gira in queste ore, siamo sempre agli aggiustamenti contabili piuttosto brutali, che si innestano su un tessuto economico ormai profondamente debilitato, e che potrebbe aver superato il punto di non ritorno. Dal versante delle entrate, l’aumento Iva è sostanziale e penalizzante, avendo portato al 23% l’aliquota anche per la ristorazione e gli alimentari lavorati. Premesso che servirà capire se e come avverrà l’esazione del tributo, in senso di quanta parte verrà vanificata da evasione fiscale aggiuntiva in un paese ormai privo di enforcement, questa sembra la polizza di assicurazione dei creditori a fronte dell’aleatorietà di altri tagli di spesa. Poi ci sono i tagli della Difesa, pare per 300 milioni, e vedremo come saranno vissuti dalla destra nazionalista che esprime il ministro della Difesa, Kammenos.

La “tredicesima” per i pensionati più poveri viene progressivamente eliminata, entro dicembre 2019. Il regime agevolato Iva per le isole viene rimosso ma solo per le isole maggiori, ipotizziamo quelle meglio rifornibili. Ciò tuttavia mantiene in essere il frazionamento del regime Iva, che i creditori volevano razionalizzare. Resta da capire la tempistica della chiusura delle finestre pensionistiche, che i creditori vogliono immediata ed il governo greco dall’autunno. Al di là di questi “dettagli”, restano alcune certezze: la Grecia sta per effettuare l’ennesima stretta fiscale e ricevere un terzo salvataggio, su base triennale, il cui cartellino del prezzo si attesterebbe, secondo le fonti, tra i 60 ed i 70 miliardi di euro al 2018. Non è poco, per un paese con un tessuto economico che negli ultimi sei anni ha oscillato tra il compromesso ed il pre-fallimentare. Sarebbe ulteriore aggiunta ad uno stock di debito che appare assai poco sostenibile. A proposito, quanta parte di questi soldi verranno dai creditori internazionali e quanta da quelli domestici, sotto forma di un bail-in delle banche greche, ormai in stato pre-agonico al di là di una eventuale riapertura dei rubinetti della Bce?

Se per motivazioni geopolitiche e pressioni esterne (Usa, Cina ma non solo), si decide che Atene deve restare ad ogni costo nell’euro e nella Ue, c’è una elevata probabilità che ciò aprirà comunque la strada a potenti forze disgregatrici: dai conservatori fiscali dei paesi del Nord Europa e loro opinione pubblica ai movimenti populistici del Sud, per non parlare dell’ala sinistra di Syriza, dei fascisti di Alba Dorata e dei patetici masanielli di casa nostra. Ancora una volta, servirà/servirebbe un controllo quasi militare della implementazione delle “riforme” ma questo non potrà avvenire perché, come detto più volte, non si può invadere un paese per riformarlo.

Quindi, il rischio di prendere a calci un vasetto di yogurt greco non solo irrancidito ma pure tossico è altissimo. La ristrutturazione e/o riprofilazione del debito greco può servire ma politicamente è terreno minato oltre che non risolvere, per il profilo temporale degli esborsi da esso previsti, il problema dei fabbisogni di cassa di breve termine. Le domande restano quelle di sempre: riuscirà il Pil nominale greco a crescere più del costo del debito, anche se quest’ultimo venisse/verrà compresso ai minimi termini? Esiste la possibilità che la Grecia consegua un avanzo primario effettivo e sostenibile nel tempo? Esiste la possibilità che quello greco divenga uno stato moderno, caratterizzato da certezza del diritto, anziché una incoercibile palude informale? Esiste la possibilità che l’economia greca sviluppi un settore delle esportazioni? Quanto tempo e quante generazioni serviranno? Esiste la pazienza di creditori e debitore per perseguire questa forma gentile di nation building?

Quanto alla figura di Alexis Tsipras, come classificarla? E’ un estremista di sinistra risvegliato alla realtà dalle conseguenze devastanti (equivalenti ad un evento bellico) di una Grexit? E’ un pragmatico che gioca a fare la faccia feroce a fini interni e riesce ad abbindolare i puri e duri del proprio campo proponendo qualcosa sul cui rigetto ha appena “vinto” un referendum piuttosto surreale? E’ una figura sopravvalutata? E’ davvero la nuova figurina del presepe della sinistra italiana, ormai ridottasi a cercare elettorati fuori dal paese e a saltare sul carro di vincitori stranieri salvo poi esserne sbalzata e finirne sotto le ruote, presa ogni volta a ceffoni dalla realtà?

E’ tutto maledettamente difficile. Forse troppo. E non esiste alcuna easy way out o proiettile d’argento, contrariamente a quanto vagheggiato, o più propriamente vaneggiato, da qualche febbricitante profeta di casa nostra, ormai ben avviato verso le piste di un circo dove i clown sono incontrastati padroni della scena.

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