Ieri, intervenendo alla quarta edizione di “The Italy Conference“, organizzata a Milano da Euromoney Conferences, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha parlato delle caratteristiche della bad bank che il governo italiano sta cercando di creare senza incappare nella censura europea degli aiuti di stato. I concetti espressi sul tema da Visco, ai nostri occhi, restano un rebus, avvolto in un mistero che sta dentro ad un enigma.
Il testo dell’intervento di Visco, in inglese, è qui. La premessa è che le banche italiane affogano nei bad loans (Non Performing Loans, NPL), a causa della forte recessione che ha colpito il nostro paese, triplicandone lo stock dall’inizio della crisi. Il recente intervento legislativo sulla deducibilità delle perdite su crediti nell’anno in cui sono riconosciute, e sulla giustizia civile per accelerare la procedura di recupero credito in insolvenza del debitore pongono le premesse, secondo Visco, per un recupero dei prezzi delle sofferenze, e di conseguenza per migliorare l’incontro tra venditori e compratori di tali crediti. Ma questo miglioramento dei prezzi è destinato ad affermarsi in tempi non brevi. Serve quindi altro, secondo Visco, perché il mercato delle sofferenze bancarie “è ancora estremamente sottile ed opaco; i prezzi potrebbero non essere correttamente determinati”.
E cosa serve, quindi? La posizione di Visco ve la traduciamo noi, se vi fidate:
«Il lancio di una Asset Management Company (AMC), che comprerebbe i bad loans dalle banche, contribuirebbe ad avviare il mercato delle sofferenze bancarie, aumentare la trasparenza degli attivi bancari e migliorare le condizioni a cui le banche raccolgono capitale e finanziamenti. La AMC sarebbe differente da veicoli simili creati in altri paesi, dove le banche erano in uno stato di crisi e sono state forzate a partecipare. In primo luogo, in Italia il progetto è mirato a banche solvibili, quindi la partecipazione dovrebbe essere volontaria. Secondo, a differenza dei casi precedenti, il disegno della AMC dovrebbe essere tale che tali attivi vengano trasferiti a prezzo di mercato. Ciò esclude un trasferimento di perdite dalle banche allo Stato, che indurrebbe le conseguenze delle norme europee sugli aiuti di Stato. Queste importanti differenze aumentano in modo sostanziale la complessità dello schema, la cui fattibilità sta ancora venendo studiata. Questo è oggetto dell’attuale interazione con la Commissione europea»
Confessiamo che questa elaborazione di Visco ci fa uscire pazzi. Allora: c’è un problema di inefficienza del mercato delle sofferenze, è la premessa. Perché? Visco non lo dice. Forse perché ci sono pochi player, cioè società specializzate a livello internazionale ad acquistare le sofferenze bancarie? Non pare proprio. Che altra ipotesi, allora? Forse perché le banche sovrastimano il valore di recupero di quei crediti? E quanto alla bad bank, Visco afferma che la medesima dovrebbe comprare tali crediti in sofferenza “a prezzo di mercato”: ma se il prezzo di mercato è basso rispetto a quanto chiesto dal venditore, non torniamo al via, cioè alla condizione attuale? E comunque: chi decide quale è “il prezzo di mercato” delle sofferenze bancarie? E se il prezzo lo decide “il mercato”, che senso ha creare una bad bank pubblica? Se quest’ultima agisce secondo le regole del mercato, la sua esistenza non ha senso. Se invece essa si pone a contrasto di qualche imperfezione/fallimento di mercato, ecco che il prezzo a cui rileverebbe le sofferenze risulterebbe più alto di quello del mercato, inducendo sospetti di aiuti di stato. Sembra il famoso Comma 22. O forse è solo una furbata, chissà.
Sarebbe molto utile che la Banca d’Italia sostanziasse l’affermazione del governatore circa lo “scarso spessore e trasparenza” del mercato delle sofferenze bancarie con qualche evidenza di ricerca. Nel frattempo noi osserviamo l’aumento degli smobilizzi di sofferenze bancarie a mezzo di operazioni di mercato. Sono ancora poche, in termini di volumi, pur se in aumento recente. Ma questo nulla dice riguardo alla tesi di Visco di presunta imperfezione del mercato come spiegazione dell’elevato differenziale tra prezzi richiesti e prezzi offerti. È un problema di price discovery? È un problema di struttura oligopolistica del mercato delle sofferenze, con pochi compratori collusi? Questa linea di pensiero ed argomentazione ci ricorda la pressante ed imprescindibile esigenza di avere una società di rating pubblica, che tanto andava di moda tempo addietro, in questo paese di cospirazionisti ed ammalati cronici di vittimismo. Noi vorremmo vedere la faccia della commissaria Vestager, alle prese con simili virtuosismi logici. Che tuttavia ricordano sinistramente il gioco delle tre carte.