Il fallimento dell’Abenomics

Pubblicati oggi i dati sulle vendite al dettaglio giapponesi di dicembre, e non è un bel vedere. Su base annua, la flessione è dell’1,1%. Prosegue quindi la debolezza del consumatore giapponese, colpito da una insufficiente crescita delle retribuzioni rispetto alla crescita delle pressioni inflazionistiche indotte dalla reflazione causate soprattutto dal deprezzamento del cambio. Un forte indizio del fallimento della Abenomics.

La reflazione indotta dal forte deprezzamento dello yen si è abbattuta su pensionati e lavoratori, riducendone il potere d’acquisto, oltre che sulle piccole e medie imprese terziste dei grandi conglomerati, costrette a pagare molto di più le importazioni ed  incapaci di traslare questi maggiori oneri sulle grandi imprese committenti. Il sollievo indotto dal recente rafforzamento del cambio dello yen (che resta incline a rivalutarsi nelle fasi di forte turbolenza dei mercati globali), oltre che dal crollo di prezzo delle materie prime, è servito solo in parte a migliorare la situazione, visto che nel frattempo il rallentamento cinese si è irradiato a tutta l’Asia.

Fallita la strategia del primo ministro Shinzo Abe di indurre una ripresa tale da innalzare in via permanente e robusta la paga-base dei lavoratori anziché limitarsi al solo bonus (che peraltro è riservato solo alla parte di lavoratori protetti, quelli delle grandi imprese), il paese non è riuscito nell’impresa di passare da un’inflazione da costi, causata dal deprezzamento del cambio, ad una da domanda, determinata dal vigore della ripresa.

La strategia di Abe non ha fatto i conti con la demografia e con la struttura del mercato giapponese del lavoro. La prima pesa per l’elevata incidenza di pensionati che hanno visto eroso il proprio potere di acquisto; il secondo resta fortemente duale, con insider protetti ed outsider precari, con questi ultimi esclusi da benefici quali i bonus ed altre protezioni di welfare aziendale. Ritenere che il solo deprezzamento del cambio potesse essere la scintilla in grado di avviare una forte ripresa dell’economia, e persino di innalzarne il potenziale, si è rivelato per quello che era: una sorta di voodoo economics.

Ora si attendono le prossime mosse della Bank of Japan, a partire dal meeting di domani, per capire se e come la banca centrale nipponica reagirà a condizioni finanziarie e monetarie che nelle ultime settimane si sono significativamente deteriorate, col mercato azionario che ha corretto di oltre il 20% (che per convenzione indica l’entrata in un mercato “orso”), aspettative inflazionistiche che stanno rapidamente ripiegando ed un cambio il cui rafforzamento sta per mettere a rischio i budget aziendali ed i programmi di investimento dell’anno.

Ma soprattutto, il Giappone indica al mondo che la politica monetaria da sola non basta ad uscire dal pantano, anche se non siete un paese sudamericano minato dal populismo o dei piccoli apprendisti stregoni italiani. Ma questo lo avevamo intuito da tempo.

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