Oggi Istat ha pubblicato il dato di variazione delle vendite al dettaglio riferito a dicembre 2015. Siamo ai soliti zerovirgola, che gli altrettanto soliti trombettieri di regime spacceranno per “il miglior risultato da x anni a questa parte”. Grattando sotto la superficie, si può osservare l’operare di alcune dinamiche corrosive.
A valore corrente, quello che incorpora la dinamica sia delle quantità sia dei prezzi, le vendite al dettaglio diminuiscono dello 0,1% rispetto al mese precedente. Nella media del trimestre ottobre-dicembre 2015, il valore delle vendite registra una variazione negativa dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Nulla di cui scrivere a casa, direbbero gli americani. Esiste un motivo, piuttosto preciso: le pressioni disinflazionistiche generalizzate a livello di sistema economico, ma di questo parleremo tra poco. Il dato ad uso dei trombettieri, che Istat rimarca puntualmente, è che l’indice grezzo del valore del totale delle vendite aumenta dello 0,6% rispetto a dicembre 2014. Nell’anno 2015, il valore delle vendite segna, dopo 4 anni consecutivi di diminuzioni, un aumento dello 0,7% sull’anno precedente. Wow.
E fin qui, tutti felici e contenti. Se invece andiamo ad analizzare il dato in volume, cioè corretto per la dinamica dei prezzi, troviamo cose meno piacevoli, per la salute delle imprese. Infatti, l’indice in volume delle vendite al dettaglio registra una variazione negativa sia rispetto a novembre 2015 (-0,1%) sia rispetto a dicembre 2014 (-0,2%). Nel trimestre ottobre-dicembre 2015 il volume delle vendite registra una diminuzione dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti.
Che si può dire, quindi, di questo dato? Che, in termini di volumi, le vendite tendono a contrarsi, sia pur lievemente. Non il massimo per il sistema delle aziende, che sono sottoposte a pressione disinflazionistica costante che ne mette a rischio i conti (parlando sempre in aggregato), perché le costringe a sconti per allettare una domanda esangue. Se siete interessati alle survey, potete guardare l’indice Markit dei direttori acquisti di imprese del commercio al dettaglio, che a gennaio è tornato a contrarsi, per la terza volta negli ultimi quattro mesi. Questo è il passaggio critico del rapporto, per rendere più comprensibile quanto si diceva sopra:
A gennaio, la combinazione tra calo delle vendite e sconti ha causato un ulteriore calo dei margini lordi dei dettaglianti italiani.
Più in generale, per quanto e come la si giri, l’esito non cambia: è una ripresa molto flebile. Del resto, che attendersi da un Pil che cresce così poco, ed in un quadro globale così incerto ed in via di deterioramento? Tra le altre cose, una brusca frenata nell’export extra Ue (fatto) e sintomi evidenti di contagio recessivo sulla manifattura (fatto). In caso, ci resta sempre da guardare nel retrovisore e compiacerci. Tenerissimi, come sempre.
#istat: buona crescita produzione industriale nel 2015 ma soprattutto sono gli ordinativi dal mercato interno a dare speranza @pdnetwork
— filippo taddei (@taddei76) 24 febbraio 2016
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A beneficio dei soliti spiritosi che pensano che qui si goda per i guai del paese, è utile ribadire che il punto vero è che occorrerebbe evitare di vedere cose che non esistono, e chiamare le cose col loro nome. Un vero peccato che gli annali di storia patria non registreranno questo periodo per quello che è: un gigantesco abbaglio collettivo, figlio di una propaganda demenziale (il cui acronimo non a caso è Pd), ma anche del mainstream nazionalpopolare che vede rinascite e rinascimenti ovunque, spesso anche al limite del risorgimento, quando c’è da fare del vittimismo collettivo. L’autoinganno come narrazione. Non depone bene per il futuro, diciamo.