Tra banche e realtà

Gli ultimi due giorni si sono incaricati di assestare robusti ceffoni a tutti i patrioti che da tempo insistono sull’autarchia come risposta alla grave incomprensione delle peculiarità del nostro paese da parte dell’universo mondo, segnatamente della parte europea di esso. Ancora una volta, crocevia dell’appuntamento col destino cinico e baro sono le nostre banche, la loro invidiabile solidità, appena scalfita di qualche situazione di lieve criticità che tuttavia non ne modifica l’affidabilità complessiva. Vero? Vero? E poi arrivano secchiate di acqua gelida in pieno viso. Poteva andar peggio, poteva non essere acqua.

Andiamo con ordine (sparso). Ieri il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha comunicato che le sofferenze girate dalle quattro banche risolte alle nuove banche-ponte valgono un po’ di più. La perizia indipendente commissionata da Bankitalia, a norma di direttiva sul bail-in, ha determinato tale valore a 22,3%, media ponderata tra il 31% dei crediti garantiti ed il 7,3% di quelli chirografari. Ciò implica due conseguenze: la prima è che il governo italiano avrà buon gioco a contrastare eventuali ultimatum della Commissione Ue a cedere le quattro good bank entro termini perentori, perché l’aiuto di stato di fatto non c’è. Certo, resta sempre da capire chi e perché vorrà comprarsi le quattro banche ma questi sono dettagli.

L’altra conseguenza di tale (ri)valutazione delle sofferenze è più sottile, almeno per i nostri patrioti. Dopo essersi sgolati a sostenere che il valore di trasferimento delle sofferenze al 17,6 non è un benchmark, ora scopriamo che il benchmark si situa a 22,3. Che resta ad una distanza siderale dal 40-45 a cui le sofferenze nette sono iscritte a bilancio. Diciamo quindi che questa rischia di rivelarsi una pessima notizia travestita da buona notizia. Un vero peccato che più o meno autorevoli commentatori, da tempo impegnati ad accusare “Bruxelles” anche per le giornate di maltempo, abbiano ignorato che questo nuovo numeretto appare peggiore del precedente, per la prognosi del nostro sistema bancario.

Ma non preoccupatevi, perché c’è Atlante che veglia su di noi. O forse no. Qui l’orizzonte si è improvvisamente incupito dopo che ieri

«(…) sono emerse indicazioni di interesse non sufficienti a consentire la determinazione di uno specifico intervallo di valorizzazione indicativa secondo la normale prassi di mercato»

Che tradotto vuol dire che le azioni della Vicenza non le vuole nessuno. Motivo per cui oggi si è saputo che l’aumento di capitale sarà uno dei più diluitivi della storia dei mercati finanziari, non solo italiani, ed avverrà al prezzo di 0,1 euro ad azione per tutti e che pertanto Atlante sottoscriverà l'”eventuale” (sic) inoptato a tale prezzo. Conseguenza pratica dell’evento: i 119 mila precedenti azionisti della Popolare Vicenza avranno perso, alla fine dei giochi, il 99,84% del loro investimento dei bei tempi andati. Dove, lo lasciamo alla vostra immaginazione. Servirà comunque che altri azionisti partecipino, perché l’azione dovrebbe avere un flottante di almeno il 25%, a cui Consob potrebbe provvidenzialmente derogare, così come dovrà, in caso, derogare ad eventuali obblighi di Opa in carico ad Atlante. Ogni cosa ha un prezzo, nella vita. Anche ogni persona, ma questo è altro discorso. E poi, hai visto mai che da questo aumento si possa anche guadagnare, mettendoci sopra un piccolo chip? Il passato è passato, più o meno.

Ma la domanda vera è un’altra: Atlante non doveva, nell’intendimento di molti nostri patriottici editorialisti (quasi tutti quelli mainstream, a dire il vero) contribuire ad innalzare “con la sua sola presenza” il prezzo delle azioni di nuova emissione, magari con un bell’acquisto “a fermo”, cioè prima dell’aumento? E infatti si è visto. Qui la domanda sorge spontanea: ma se era fatale arrivare a questo valore di liquidazione a stralcio per l’aumento della Popolare di Vicenza, perché non lasciare che fosse il mercato a procedere? Forse perché i patrioti temevano che, prima di consegnare la banca ai nuovi proprietari, si sarebbe dovuti passare per una risoluzione e conseguente bail-in degli obbligazionisti, che avrebbe terremotato il paese intero. Prendiamo per buona questa chiave di lettura: giungeremo alla conclusione che Atlante, alla fine dei giochi, opera in un effettivo contesto di mercato, almeno per quanto riguarda la garanzia degli aumenti di capitale. Dopo aver visto il valore “vero” delle sofferenze delle quattro banche risolte, auguri per l’altro ramo di attività del nostro autarchico titano.

E poi veniamo alla questione dei titoli di stato italiani in pancia alle banche italiane. Come noto, il percorso verso la garanzia unica europea sui depositi bancari si è inceppato perché i tedeschi vogliono prima che ai titoli di stato nazionali vengano assegnate ponderazioni per il rischio. In altri termini, che si inducano le banche a liberarsi dell’eccesso di titoli di stato nazionali che hanno in pancia. L’Italia, che ama passare le giornate esecrando il comportamento “anti-europeo” dei tedeschi, che bloccano la garanzia unica sui depositi, ha già detto che ridurre il peso dei titoli di stato non s’ha da fare. E quindi, stallo. Un peccato, perché da un “disarmo bilanciato” tra Italia e Germania, con l’ovvia gradualità temporale, noi italiani avremmo solo da guadagnare. Ma questo non viene capito, e proseguono gli editoriali sdegnati contro Berlino.

Che poi, notate la lieve incoerenza: tutti invochiamo che le banche italiane prestino di più a famiglie ed imprese (ignorandone merito di credito ed effettiva domanda), e poi blocchiamo la loro capacità di far prestiti con questa massa abnorme di titoli di stato a rischio zero, almeno ai fini degli accantonamenti di capitale? Mah, vai a capirli, i nostri criptici patrioti. Però forse basterebbe stampare, chi può dirlo? Di certo, quello che servirebbe evitare di fare è lanciare proclami come quello del presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia. In sintesi, giù le mani dai nostri valorosi titoli di stato:

“Il ministro Padoan, oggi in audizione sul Def in commissione Bilancio, ha espresso la netta contrarietà del governo sull’ipotesi avanzata in sede europea di porre un tetto ai titoli Stato che una banca può detenere. L’Italia in questa occasione, deve avere la maturità di mostrarsi unita e compatta perché una scelta in questo senso manderebbe in tilt diversi sistemi bancari. I sostenitori di questa tesi dovrebbero preoccuparsi della mole di derivati tuttora nella pancia di alcune grandi banche europee, a partire dalla Deutsche Bank”. Così Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, commenta in un’intervista a Radio Radicale, l’audizione sul Def del ministro Padoan (Ansa, 19 aprile 2016)

Ecco, giusto! I tedeschi guardino la Deutsche Bank ed i suoi derivati brutti, sporchi e cattivi, noi difenderemo sino alla morte il nostro tesoro nazionale di debito pubblico, ed anche le nostre sofferenze bancarie, frutto del sudore e del dolore dei nostri uomini, donne, bambini e banchieri. Se si chiamano sofferenze un motivo ci sarà, no?

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