Una Germania un po’ meno tedesca

La non-notizia del giorno non è il fatto che l’Italia nel primo trimestre del 2016 sia cresciuta alla metà del passo dell’Eurozona. A questo siamo ormai abituati da tempo, anche se ora verrete rimbecilliti dal frastuono di trombe e fischietti governativi. La non-notizia del giorno è che la Germania continua a crescere per spinta della domanda interna. Scriviamo continua perché la tendenza è in atto da tempo anche se qui da noi, nell’altro frastuono nazional-popolare del “piove, governo tedesco ladro”, non ci si era accorti del dettaglio.

La crescita tedesca nel primo trimestre dell’anno proviene ancora una volta dalla domanda domestica. Sia dai consumi di famiglie ed amministrazione pubblica che dalla formazione del capitale, cioè dagli investimenti, anche grazie a condizioni climatiche miti rispetto alla media stagionale, che hanno spinto l’investimento in costruzioni. Molto poco tedesco (ma non è la prima volta che accade), il fatto che il commercio estero netto abbia lievemente sottratto crescita, perché il tasso di variazione delle importazioni ha superato “in modo marcato” quello dell’export. Rinviati quindi, almeno per poche ore, i piagnistei italiani sul saldo commerciale tedesco che risucchia vita al pianeta. Riguardo ai consumi di famiglie e pubblica amministrazione, in forte spinta, e che vanno nella direzione da lungo tempo auspicata, quella di una Germania un po’ meno tedesca, siamo ragionevolmente certi che le spiegazioni dei nostri editorialisti e politici saranno del tipo: “ah, per forza, con la loro forza economica possono permettersi di spendere, mica come noi!”. Quanto alla maggiore spesa pubblica, parte della quale è ragionevolmente riconducibile ad integrazione e accoglienza del milione di migranti accolti lo scorso anno, le spiegazioni italiane saranno, oltre a quella della capacità di spesa di cui sopra, una cosa del tipo “ah, certo, ma loro si sono portati a casa manodopera a basso costo e fortemente scolarizzata, con cui cercheranno di mettere fuori mercato le nostre imprese, signora mia”. Nulla di nuovo sotto il sole.

Nulla di nuovo al punto che, guardando i trimestri precedenti, si nota che la forza della domanda interna tedesca è in atto da tempo; negli ultimi quattro trimestri, vedi qui e grafico a fine post, il contributo dei consumi domestici alla crescita resta largamente predominante. Nel 2015, giusto per segnalare ai nostri patriottici editorialisti, la spesa tedesca per consumi privati è cresciuta in termini reali dell’1,9%, miglior risultato dall’anno 2000. Chi lo avrebbe mai detto, vero? La ripresa degli investimenti, emersa nel quarto trimestre 2015 e confermata nel primo del 2016, potrebbe fornire ulteriore sostegno alla crescita, non solo tedesca: i margini fiscali esistono tutti, peraltro. Positiva, come ci si aspetta che sia, la dinamica retributiva del paese, con gli accordi siglati oggi che daranno a 3,8 milioni di lavoratori metalmeccanici, un aumento retributivo del 4,8% in 21 mesi, e che seguono quelli per 2 milioni di dipendenti pubblici. La domanda interna tedesca è viva e lotta insieme a noi ma anche questa sarà una colpa, agli occhi di molti nostri autoctoni-aborigeni.

Nel frattempo, uno studio della Bce conferma quello che da molto tempo si sospetta: i consumatori tedeschi non sono come quelli anglosassoni, nel senso che l’aumento dei prezzi degli immobili non si trasmette ai consumi, cioè non c’è effetto-ricchezza. Alla base del fenomeno paradosso (per gli standard anglosassoni), il fatto che prezzi delle abitazioni in crescita inducono a risparmiare di più perché le banche finanziano quote non elevate del valore degli immobili rispetto alle realtà di altri paesi (il loan-to-value è comparativamente inferiore), oltre al fatto che l’aumento dei prezzi delle abitazioni fornisce agli inquilini valore segnaletico di maggiore onerosità futura degli affitti, e li spinge al risparmio. Se si deve credere ai risultati di questo working paper della Bce, la politica monetaria espansiva aumenta il tasso di risparmio tedesco, rendendo inoperante l’effetto-ricchezza. Occorre tenere conto delle psicologie nazionali, dopo tutto.

A parte ciò, prendete diligente nota: tutto è perfettibile, nel grande ordine dell’universo. Pertanto, la Germania può certamente fare di più per la crescita. Ma in questo momento i due grandi luoghi comuni a cui i nostri editorialisti si abbeverano, cioè l'”austerità” in Eurozona ed una Germania mercantilista che cresce grazie all’export predatorio, semplicemente non sono in atto, e non lo sono da parecchio tempo. Ma questa è informazione irrilevante entro i sacri confini della nostra narrazione vittimista.

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