Il dissesto aziendale è incostituzionale, in Italia

Su lavoce.info è comparso un post, a firma di Lorenzo Cuocolo, dal titolo “Bail in incostituzionale?“, che è soprattutto una domanda retorica, viste le considerazioni svolte dall’autore. Non abbiamo certamente i titoli per argomentare alla pari con Cuocolo in materia, ma forse una modica quantità di buonsenso avrebbe evitato di sostenere argomentazioni che rasentano l’assurdo.

Secondo l’autore, la normativa del bail-in, così come recepita dall’ordinamento italiano, riuscirebbe a violare addirittura cinque articoli della nostra costituzione. Violerebbe, tanto per cominciare, l’articolo 3, quello dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge perché, secondo Cuocolo,

«La differenziazione tra investitori e correntisti può essere sindacata sotto il profilo della ragionevolezza e della parità di trattamento, anche considerando che il correntista, a differenza dell’azionista, non partecipa al rischio di impresa»

Il correntista pare sia un creditore, la banca pare sia un’azienda, capita che le aziende vadano in dissesto ed i creditori ci rimettano le penne, in tutto o in parte. Forse è questo ciò che sfugge ai costituzionalisti (veri e da dopolavoro) che in questi giorni si cimentano con la vicenda del bail-in, dopo il grido di battaglia del presidente dell’Associazione bancaria italiana. Sulla retroattività dell’azione Cuocolo scrive:

«Le procedure di bail-in si applicano anche a chi ha investito prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, senza contezza dei possibili rischi. Simile disciplina retroattiva non è di per sé incostituzionale, ma deve essere valutata secondo il rigoroso scrutinio della ragionevolezza»

Anche qui, provare ad utilizzare l’audace esperimento del pensiero chiamato dissesto aziendale. In caso di liquidazione coatta amministrativa dell’istituto i creditori che fine fanno? Invocano che quando hanno prestato soldi alla banca la medesima era sana e quindi loro non debbono essere colpiti perché la retroattività è inammissibile e incostituzionale? Secondo Cuocolo, poi, la normativa sul bail-in violerebbe l’articolo 47, quello citato da Patuelli, perché

«La normativa sul bail-in, invece, prevede che i risparmiatori possano essere chiamati a rispondere con i propri risparmi per le situazioni di dissesto della banca. Con l’evidente frustrazione dell’incoraggiamento al risparmio, che deve essere interpretato proprio come investimento del surplus monetario, funzionale allo sviluppo del ciclo economico, e non come mero accumulo di ricchezza»

Ohibò. Un’azienda, pur se peculiare come una banca, va in dissesto, ed i suoi creditori di rango più basso non dovrebbero essere colpiti dal dissesto perché altrimenti rischieremmo di “frustrare l’incoraggiamento del risparmio”. In tal caso, par di capire, Cuocolo suggerisce di mettere fuorilegge la condizione di dissesto di una banca. In caso, ci sono alcuni codici da riscrivere, sarà lunga. Non solo: la disciplina del bail-in violerebbe pure il povero articolo 41 della Costituzione, quello sulla libertà d’iniziativa economica, dando all’Autorità di risoluzione “penetranti poteri” di cambiare in corsa i rapporti contrattuali privati e addirittura di “ingerirsi nella vita societaria della banca in crisi”. Dove andremo a finire, di questo passo? Una banca in dissesto non sarà più libera di godersi la sua condizione, signora mia? Cose da pazzi.

L’apoteosi costituzionale letteralista la si tocca però con la supposta violazione dell’articolo 42 Cost.:

«La Costituzione è chiara nell’affermare che la proprietà privata può essere espropriata solo per ragioni di interesse generale e a fronte di un indennizzo. Come si concilia questa previsione con la possibilità di un sostanziale esproprio dei depositi dei correntisti (sopra i 100mila euro), senza alcuna forma di indennizzo?»

Quindi, trovarsi a gestire un dissesto bancario, che può culminare nella liquidazione coatta amministrativa, con la devastazione che ne conseguirebbe, e gestirlo per impedire quell’evento (la motivazione della nascita della BRRD, che non a caso si chiama Bank Resolution and Recovery Directive) configura l’equivalente di un esproprio senza indennizzo, manco fosse un’autostrada che è prevista attraversare la stalla di un allevatore? Dulcis in fundo, Cuocolo vede pure la violazione del 24, quello sulla difesa “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Cuocolo qui scambia l’Autorità di risoluzione (cioè la Banca d’Italia) per una sorta di tribunale speciale gestito da un dittatore, senza appello:

«In particolare rileva l’assenza di strumenti di controllo democratico ex ante (e ciò incide sul rispetto dell’articolo 1 della Costituzione) e la limitazione degli strumenti di difesa ex-post. Viene, infatti, previsto dalla direttiva che “la decisione dell’Autorita? di risoluzione e? immediatamente esecutiva e determina la presunzione relativa che una sospensione della sua esecuzione sarebbe contraria all’interesse pubblico”»

Anche qui: se stiamo parlando di un dissesto aziendale conclamato, abbiamo davvero bisogno di un sistema di “contrappesi democratici”? Forse sì, forse serve un appello, ma serve capire meglio. L’autore conclude invitando di fatto il parlamento a lasciare l’ultima parola alla Consulta. Ottima idea. A noi pare che la direttiva risponda (reiteriamo ad nauseam) all’esigenza di tentare di impedire la liquidazione coatta amministrativa della banca in dissesto, che resta evento massimamente traumatico.

Quindi occorrerebbe indagare se le azioni imposte dalla direttiva, così come trasposte nell’ordinamento italiano, rappresentino un “male minore” o no. A noi pare evidente che ci saranno sempre creditori colpiti più di altri, in funzione del loro posizionamento nella struttura del passivo aziendale. Se invece, nella surreale temperie italiana, il dissesto ed il fallimento sono diventati incostituzionali, ce lo facciano sapere. Quanto a lavoce, sarebbe utile dare spazio anche ad orientamenti differenti. Ammesso che ve ne siano, in questo periodo di scolapasta ben calati sulla testa.

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