‘O Ministro del (falso in) Bilancio

Un paio di giorni addietro è stato pubblicato sul Foglio un gustoso editoriale di Paolo Cirino Pomicino, già ministro del Bilancio in un governo Andreotti, tra il 1989 ed il 1992 (anni ruggenti del successo italiano, moneta sovrana inclusa). In esso, Pomicino riprende e rilancia un paio di temi forti della nostra patriottica élite, impegnata allo spasimo per difendere le ricchezze accumulate in decenni di sangue, sudore e lacrime da un paese sotto costante assedio delle Forze del Male e della cupidigia dello Straniero Predatore.

Il primo tema forte, di carattere generale, è che “gli altri”, intesi come altri paesi, difendono la loro robba dagli assalti esterni, spesso anche a costo di usare massicce risorse pubbliche. Pomicino cita l’ovvio e patologico caso della Cina ma anche e soprattutto la ormai pluriennale campagna acquisti francese in Italia:

«Solo per ricordare alcuni degli acquisti degli amati francesi: Edison, Parmalat, Cariparma, Banca nazionale del Lavoro, Telecom Italia, per non parlare della Danone e della Carrefour nel settore alimentare e della grande distribuzione. E pensare che lo stato francese non fece acquistare a Giovanni Agnelli l’acqua Perrier alla fine degli anni Ottanta, se il ricordo non ci tradisce»

Quando accadde la vicenda Perrier si era in altre ere geologiche, però. E di certo non è colpa dei francesi se i grandi capitalisti di debito italiani sono (appunto) di debito, e come tali non riescono ad uscire dal giardino di casa. Nel quale giardino trovano assai più confortevole tentare di aggiudicarsi monopoli naturali messi all’asta da uno Stato che è fiscalmente devastato da decenni di dissipazione e non-crescita, durante quelle che vengono definite “privatizzazioni”. Ci provò anche la Fiat con Telecom Italia, come ricorderete, con un bel “nocciolino duro” da 0,5%, poi venne travolta; altri patrioti e capitani coraggiosi trascorsero invano ed alla fine arrivò lo straniero, ancora una volta francese. Sarà colpa dei francesi se abbiamo un sistema paese che non si regge in piedi né abbiamo più capacità fiscale per puntellarlo, caro dottor Pomicino?

Il quale Pomicino si volge poi al settore bancario, l’ultimo punto di vulnerabilità di un paese che pare avere Saturno contro, oltre a tutto il resto dello zodiaco. Parliamo della “speculazione” cattiva, quella che si abbatte senza requie ed “inspiegabilmente” sui nostri istituti. Riprendendo la suggestiva tesi del presidente Abi, Antonio Patuelli, secondo il quale la “speculazione” è direttamente proporzionale al flottante di una banca quotata (!), l’ex neurologo del Cardarelli prestato a titolo definitivo alla politica illustra un esempio di norma europea che ci ha posti alla mercé dello Straniero:

«Una volta, con l’autorizzazione della Banca d’Italia, le banche potevano comprare azioni proprie anche oltre il limite del 5 per cento per contrastare la speculazione ribassista. Bene. Nel 2011 la Commissione europea fa una proposta di legge sul credito prudenziale che il Consiglio dei capi di stato e di governo inizia a discutere il 30 novembre 2011 (per noi Monti), e discutono sino all’aprile del 2013 (per noi Siniscalco ministro del Tesoro) [in realtà era Saccomanni, ndPh.]. Quando il Parlamento europeo lo approva, il 16 aprile, il Consiglio (per noi Letta) lo approva definitivamente il 20 giugno del 2013 e viene pubblicato il 27 dello stesso mese con il numero 575/13»

Eh, bei tempi, quando le banche potevano comprare azioni proprie oltre il 5% del capitale, per contrastare scalate che non sarebbero comunque arrivate perché la Banca d’Italia avrebbe detto no, “e più non dimandare”. Ma questa ideona del riacquisto di azioni proprie in chiave anti scalata ora per Pomicino cadrebbe come il cacio sui maccheroni, giusto? E invece l’Europa cattiva ce lo ha impedito, con la connivenza dei nostri governanti pro tempore:

«In questo decreto della Commissione si fa obbligo alle banche di chiedere l’autorizzazione anche per comprare solo l’1 per cento delle proprie azioni, e comunque fino al 5 per cento, senza alcuna possibilità di deroga – quella che precedentemente la Banca d’Italia poteva invece dare dinanzi a tempeste borsistiche. Cosa ancora più grave è che se le banche comprano azioni proprie, il capitale di vigilanza viene ridotto di pari importo, per cui una banca sotto attacco speculativo potrebbe solo fare un importante aumento di capitale che solo i grandi fondi speculativi d’occidente e i fondi sovrani orientali sono in condizioni di sopportare, con il risultato che comprerebbero definitivamente tutto il nostro sistema bancario a prezzi stracciati dopo la tempesta ribassista»

Ma è incredibile, signora mia: il riacquisto di azioni proprie riduce il capitale di vigilanza! Forse perché il riacquisto di azioni proprie necessita di garanzie per evitare che la banca gonfi artificiosamente la propria consistenza patrimoniale? Ah, saperlo. Certo, se la banca non fosse quotata, e magari concedesse prestiti ai soci chiedendo ai medesimi di sottoscrivere azioni di nuova emissione, i cattivi Stranieri non potrebbero mai entrare e lo scrigno che custodisce i nostri gioielli resterebbe sigillato. Che poi è proprio quello che per molto tempo ha fatto il patriota Gianni Zonin dalle parti di Vicenza, giusto? E infatti, visto che tutto si tiene, l’inizio della fine per la Popolare di Vicenza è stato proprio quando quei cattivoni della Vigilanza Bce hanno scoperto queste operazioni e costretto a scomputare dal capitale di vigilanza le azioni proprie così emesse. Ecco, se non ci fosse stata la Vigilanza Bce, la Popolare di Vicenza ora sarebbe ancora quel gioiello di operosità e creazione di valore che il mondo ci invidiava!

Ma soprattutto, è la chiusa del pensiero pomiciniano che è debole: non abbiamo ancora visto all’orizzonte le caratteristiche sagome di locuste ed avvoltoi, pronte a papparsi le nostre banche per un pugno di ceci, dottor Pomicino. Lei è sempre troppo avanti, se lo lasci dire da chi ha seguito pressoché tutte le sue gesta. Ha ragione Lei, dottor Pomicino:

«La cosa più grave di questi anni è stata l’incapacità di vedere il futuro»

Non lo vedevamo e non lo vediamo per un motivo che potrà sembrarle banale: ce lo hanno rubato, un pezzo alla volta. A partire da quella leggendaria Prima Repubblica dove quelli come Lei impazzavano e dove i treni (non) arrivavano in orario. I morti ghermiranno i vivi, sotto forma di editoriali da un passato che non intende passare, sin quando i vermi non avranno completato il loro banchetto.

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