Elezione “diretta” dei senatori? Una soluzione impossibile

di Luigi Oliveri

La minoranza del Pd, per autoconvincersi dell’opportunità di votare sì al referendum confermativo della riforma costituzionale, in questi giorni ha proposto quello che potrebbe apparire l’uovo di Colombo. Risolvere, cioè, il problema della rappresentatività del Senato, azzerata dalla riforma costituzionale, con un sistema di “elezione diretta”. L’idea si riassume, in poche parole, così: al momento delle elezioni regionali, verrebbe consegnata agli elettori una scheda per eleggere i consiglieri regionali che andranno a ricoprire la carica di senatori.
Si tratta, tuttavia, di una soluzione che da un lato violerebbe la stessa riforma costituzionale se passasse e dall’altro non risolve affatto né i problemi di rappresentatività, né di funzionalità del nuovo Senato.

Diamo una lettura all’articolo 2 della legge costituzionale che riforma l’articolo 57 della Costituzione:

“Art. 2. (Composizione ed elezione del Senato della Repubblica). 1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 57. – Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due. La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.

Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”.

Chiunque può notare un fatto semplicissimo: una legge ordinaria non può, senza violare esattamente l’articolo 57 riformato, assegnare al corpo elettorale il compito di eleggere direttamente i senatori, per la semplice ragione che il nuovo articolo 57 assegna in via esclusiva questa competenza ai consigli regionali. Punto. La legge ordinaria proposta, dunque, sarebbe immediatamente incostituzionale.

La realtà è che questa proposta spaccia per “elezione diretta” null’altro di diverso da una mera “designazione”. Gli elettori, cioè, al momento delle votazioni regionali non potrebbero mai eleggere nessun senatore, ma solo indicare ai consigli quali tra i consiglieri nominare (non per altro chiaro in quale modo ciò avverrebbe). La nomina dei senatori, però, spetterebbe comunque ai consigli regionali, i quali, alla luce dell’articolo 57 riformato, conserverebbero piena e assoluta potestà di nominare chi vogliano, anche nonostante le designazioni del corpo elettorale. Se ci fosse, ad esempio, da assicurare l’immunità a qualche consigliere regionale, non è difficile immaginare che questo verrebbe nominato in Senato, a disdoro di qualsiasi designazione popolare.

La proposta, dunque, oltre a rivelarsi incostituzionale e priva di qualsiasi efficacia, appare solo una foglia di fico, una scusa per giustificare il “sì” alla riforma. Come se esprimere il consenso alla riforma costituzionale fosse una vergogna e non l’espressione piena e libera di una scelta consistente in un diritto assoluto di votare esattamente come si crede, senza doversi giustificare. Chi crede nella riforma, o si senta vincolato alla disciplina di partito o qualsiasi altra ragione lo spinga, ha la totale libertà di votare sì, senza andare proponendo formule alchemiche assurde ed inefficaci, come quella dell’elezione diretta dei senatori.

Anche perché tale bislacca proposta non potrebbe aiutare a superare nessun’altra delle storture della conservazione del Senato. Per esempio: anche ammettendo fosse possibile e non incostituzionale eleggere direttamente i senatori con le elezioni regionali, comunque un 25% dei componenti del Senato sarebbe non elettivo: i sindaci e i 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Comunque, quindi, il corpo elettorale sarebbe privato della rappresentanza, in violazione dell’articolo 1 della Costituzione. Non si risolve il paradosso che il Senato, nelle intenzioni finalizzato ad interessarsi solo della materia dei rapporti tra Stato ed autonomie locali, conservi invece potestà legislativa (in parte obbligatoria, in parte facoltativa) praticamente su tutte le materie.

Non si risolve l’altra aporia di un Senato composto da senatori solo a part-time che però assicura loro l’immunità, coprendone anche l’attività di consiglieri regionali o sindaci. Non si risolve l’aspetto di enorme inefficienza di un Senato a “porte girevoli”: i componenti, infatti, potranno sedere sugli scranni di palazzo Madama non per i 5 anni di mandato elettorale, ma solo per la durata del loro mandato come consiglieri regionali o sindaci. Dunque, la composizione del Senato sarà un magma continuamente mutevole, con buona pace della necessità di una camera che possa programmare ed affrontare con un minimo di competenza e stabilità organizzativa le tantissime materie ancora di sua competenza.

La realtà è che nessuna proposta in “zona Cesarini” può modificare gli effetti della riforma del Senato. Si poteva porre rimedio al bicameralismo paritario in moltissimi altri modi, fuorchè il sistema escogitato. Non può certo essere la proposta di una legge ordinaria incostituzionale ed inutile a mutare la situazione. Chi intende votare sì eserciti in piena libertà la propria intenzione di voto, ma, cortesemente, non cerchi proseliti con ideuzze propagandistiche.

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Luigi Oliveri, laureato in giurisprudenza, dirigente amministrativo della Provincia di Verona, collaboratore di Italia Oggi, lavoce.info, varie altre riviste giuridiche ed autore di volumi in materia di diritto amministrativo.

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