Su lavoce.info, un post di Claudio Virno illustra, numeri alla mano, un altro degli eclatanti fallimenti del governo Renzi e della linea argomentativa tenuta dall’ex premier nei confronti della Ue. Abbiamo chiesto flessibilità per fare investimenti, in realtà con quel deficit aggiuntivo abbiamo fatto altro. E non è difficile intuire cosa.
Dai dati provvisori di contabilità pubblica per l’anno 2016 si evince infatti che
«(…) gli investimenti fissi lordi della pubblica amministrazione sono passati da 36.686 milioni di euro nel 2015 a 34.714 milioni nel 2016, con una diminuzione del 5,4 per cento. Ciò viola una delle condizioni poste dalla Commissione europea per concedere la clausola di flessibilità relativa agli investimenti»
Non male, no? Dopo tutte le chiacchiere renziane sull’Europa matrigna che ci impedisce di crescere con i suoi zerovirgola, dopo gli appelli di illustri cattedratici e politici cocoriti a “scorporare dal rapporto deficit-Pil le spese per investimento”, altrimenti ci arrabbiamo e pestiamo i piedini. Eppure qui lo scorporo c’era, anche se limitato ai cofinanziamenti.
Ma le bugie hanno le gambette cortissime, davanti ai numeri. I dati li potete vedere nel post di Virno. In particolare, riguardo al famigerato “piano Juncker”, siamo ancora al “carissimo amico” ed alle “interlocuzioni” con la Bei. Voi invece ricordate gli strepiti mediterranei di Gianni Pittella e compari, su quel tema? Noi sì. Ricordate le brave eurodeputate Pd che in tv recitavano la filastrocca sul boom di investimenti che avremmo conseguito, trovandosi di fronte solo un povero sconosciuto blogger a confutarle? Noi sì.
Riguardo ai programmi di investimento derivanti dai fondi strutturali europei, presto detto:
«In generale, il profilo di spesa dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali non ha subito modifiche di rilievo rispetto ai cicli di programmazione precedente. Ciò significa che nei primi anni del ciclo (2014-2020) l’attuazione finanziaria dei programmi è stata molto contenuta e i pagamenti al 2016 rappresentano una percentuale trascurabile della spesa complessiva programmata. Pertanto non vi è stato alcun effetto propulsivo attribuibile alla flessibilità concessa e i pagamenti sono stati di poco superiori al 50 per cento delle previsioni iniziali»
Che tradotto significa che abbiamo fatto il poco e nulla che eravamo abituati a fare. A fronte di una flessibilità per investimenti dello 0,25% di Pil, la nostra realizzazione è stata dello 0,11%. Sono i soliti zerovirgola, lo sappiamo, ma contano come indicatore della serietà di un paese. Del resto, dopo tre anni passati a sentire e leggere di mance erogate a pioggia e presentate berlusconianamente come “riduzione di tasse”, di fronte alla ennesima gelata sugli investimenti pubblici qualche titolo per incazzarsi lo avremmo anche. Ma di certo è colpa dei tedeschi, che hanno un esercito di straccioni al lavoro oltre a ponti e strade che cadono a pezzi, spesso sulla testa di malcapitati automobilisti.
Ma noi abbiamo già la spiegazione: è stato il nuovo codice degli appalti che ha intralciato tutto, signora mia. Ora andrà meglio, vedrete. E comunque la Commissione non deve essere fiscale: come dice il proverbio, Roma non è stata costruita in un anno. E poi c’è il terrorismo, come ha ribadito l’ex premier in una delle sue ultime imprescindibili apparizioni televisive: bisogna mettere in comune la spesa per combattere il terrore, espungendola dal calcolo del deficit. Solo così sarà possibile, ad esempio, pagare il bonus ai diciottenni del prossimo anno. Perché cultura e bellezza vincono sempre sull’odio e sui contabili.
Ecco, se solo non avessimo il morso della Ue e dei suoi ragionieri, potremmo far vedere al mondo quanto siamo bravi a spingere gli investimenti pubblici, che invece cadono a pezzi per colpa dei burocrati di Bruxelles. Un esempio su tutti: la Pedemontana veneta, dove pubblico e privato italiani si incontrano per produrre devastazioni finanziarie e miserabili fallimenti. Vado pazzo per i piani di fattibilità ben riusciti.