Non vi ammorberemo con le Previsioni di primavera della Commissione europea, che mostrano l’Italia al solito in coda nella crescita continentale. Ci preme invece segnalarvi un paio di commenti di ieri del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, su crescita e governance europea. Da cui si evince che le idee restano confuse.
Intanto, la scioccante rivelazione:
«L’austerità è una parola che non si sente più da tempo. Il problema è quello di conciliare la crescita con la sostenibilità della finanza pubblica, e quindi politica di bilancio ma anche riforme strutturali» (Ansa, 10 maggio 2017)
La parola “austerità” non si sente più da tempo in Europa, dove la posizione fiscale è da un paio d’anni moderatamente espansiva. A dirla tutta, non dovrebbe sentirsi neppure in Italia, visto che anche la nostra stance fiscale, misurata sul saldo di bilancio corretto per la fase del ciclo economico, è espansiva per il terzo anno consecutivo. E quindi? Com’è che l’Italia pare un mulo piantato in mezzo alla strada e non riesce a crescere più di un micragnoso 1% annuo con politica monetaria fortemente espansiva?
Ecco, caro ministro Padoan, visto che lei ha avuto un soprassalto di oggettività e ci ha detto che non c’è alcuna “austerità”, né in Europa né in Italia, ora provi a convincere il suo riottoso ex premier, che non perde occasione per magnificare una crescita ridicola ma con alta probabilità proprio pari al nostro potenziale, e che le vostre “riforme strutturali”, che semplicemente non sono tali, non sono riuscite ad innalzare. O meglio, quelle “riforme” sono state dei classici “pacchi” all’italiana per avere la possibilità di fare più deficit. Solo che qui siamo di fronte ad un “auto-pacco”, nel senso che quel maggior deficit, che ha contribuito a mantenere il rapporto debito-Pil alle stelle e senza parvenza d’inversione di tendenza, è un atto di puro autolesionismo.
Caro ministro Padoan, assieme a Renzi provi anche a convincere tutti gli sprovveduti ed i magliari che ragliano “basta austerità!” in questo allucinato paese. E proviamo anche a smettere di fare confronti da monade idiota del tipo “quando c’erano Monti e Letta il Pil si riduceva”. Confronti che -ovviamente- non vengono da Padoan. Il ministro, ieri, in preparazione dei lavori del G7 di Bari, ha poi lanciato l’ideona:
«Non basta la semplice somma delle scelte delle politiche di bilancio dei paesi membri: serve un ministro delle finanze europee in grado di guidarla»
Che è facile come cambiarsi i calzini, notoriamente, soprattutto con questa architettura istituzionale europea. Voi la vedete la scena di un euroministro delle Finanze che mette mano al bilancio italiano e lo rivolta come un calzino, ponendo fine a mance e bonus? Noi no, o almeno non domani né dopodomani. Anche perché, per fare ciò, servirebbe ben altro ruolo del parlamento europeo, e ben altri trattati.
Quando si opera in una unione monetaria che di fatto non ha alcuna cogenza sulle politiche economiche, ed i cui “maggiori azionisti” da sempre si accontentano soprattutto di “quadrature contabili”, cioè a prescindere dalla composizione di entrate e spese, l’esito fatale è che paesi come l’Italia, ad ogni giro di premier e legislatura, tenderanno a produrre saldi di bilancio di pessima qualità, causati dall’ipercorporativismo malato che ci caratterizza. Questo ci farà perdere competitività, lentamente ma inesorabilmente, rendendo ogni volta gli aggiustamenti più dolorosi e incerti e frenando il potenziale di crescita. Stiamo percorrendo un sentiero che non porta in alcun luogo ameno.