Il ponte dei sogni di Boris l’italiano

Narra la storia dell’umanità che, quando un governante aspira a diventare immortale o presunto tale, mette mano a grandi opere. Ma la stessa storia narra anche che, quando ci sono bolle di liquidità, fioriscono grattacieli, moderne Torri di Babele che puntano al cielo. Il buon Boris Johnson, nel suo funambolico (leggasi caotico, approssimativo e superficiale) stile di governo, non fa ovviamente eccezione. Il problema è che la grande opera dei suoi sogni dovrà essere rimessa nel cassetto, mentre altre sono state ridimensionate.

Johnson aveva incaricato il presidente di Network Rail, gestore della rete ferroviaria britannica (nazionalizzata dopo la disastrosa privatizzazione dei tempi di John Major), di studiare la fattibilità di un ponte o un tunnel sottomarino per collegare Scozia e Irlanda del Nord. Ventuno miglia sul Mare d’Irlanda per mostrare al mondo che la Brexit produce un paese unito e all’avanguardia nei collegamenti. Circa due volte più lungo, quindi, di quel capolavoro che è il Ponte di Øresund, che collega Svezia e Danimarca.

Costi e tempi proibitivi

Il rapporto è uscito nei giorni scorsi e si è risolto in una bocciatura su tutta la linea, inclusa l’ipotesi alternativa di un tunnel sottomarino. I benefici verosimilmente non supererebbero i costi per le casse pubbliche, recitano le conclusioni con tipico understatement britannico. Il cartellino del prezzo è stimato in 335 miliardi di sterline per il ponte e 209 miliardi per il tunnel, con tempi di costruzione di circa un trentennio.

Una stima che risulta di ben 22 volte superiore a quella dello stesso Johnson che, nel 2019, aveva ipotizzato soli 15 miliardi di sterline, non è chiaro se per insipienza o per il suo ormai leggendario ottimismo e positività. O forse per la faciloneria con cui spara “idee” nello spazio del dibattito pubblico britannico ai suoi ormai rasseganti concittadini.

Il braccio di mare che il ponte avrebbe dovuto attraversare è profondo in alcuni tratti mille piedi (oltre 300 metri), caratterizzato da venti molto forti e, per non farsi mancare nulla, è anche stato discarica di munizioni durante la Seconda guerra mondiale.

Accantonata questa idea “trasformativa”, come pietosamente definita dal presidente di Network Rail, la realtà è tornata a molestare Johnson e le sue promesse di “livellamento verso l’alto” di interi territori, soprattutto dell’Inghilterra del Nord, che i Conservatori hanno strappato al Labour nelle ultime elezioni, quando l’elettorato delle aree deprivate ha premiato il messaggio sociale del candidato premier.

Progetti ferroviari ridimensionati

Nei giorni scorsi, il governo ha pesantemente ridimensionato il programma di alta velocità ferroviaria noto come HS2, i cui lavori sono iniziati nel 2017. Il tracciato originario doveva avere forma di Y e collegare Londra, Birmingham, le Midlands orientali, Leeds, Sheffield e Manchester.

In settimana il Segretario ai Trasporti, Grant Schapps, ha confermato che la gamba orientale del tracciato, che doveva unire Birmingham a Leeds, verrà cancellata. La linea terminerà invece a East Midlands Parkway, una stazione nei pressi di Nottingham. Il tratto cancellato presentava criticità non lievi, tra cui multipli attraversamenti autostradali e transiti sopra miniere di carbone dismesse. Ora Network Rail ripiegherà su miglioramenti volti ad aumentare la capacità delle linee esistenti conseguendo comunque una riduzione dei tempi di viaggio, pur se inferiore alle attese.

Anche un secondo tracciato è caduto vittima della scure governativa: si tratta della Northern Powerhouse Rail, tra Manchester e Leeds, che subirà un ridimensionamento. Proteste dei politici e delle comunità locali, che denunciano il tradimento dei sogni di “levelling up“, e sollievo per i contestatori di segno opposto, che lamentavano devastazioni agricole, chiese rurali travolte, cimiteri sfrattati. Nulla di nuovo, sotto il sole delle grandi opere.

Sollievo per il Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, che assisteva preoccupato all’altro fenomeno tipico delle grandi opere, il lievitare di tempi e, soprattutto, costi. Che il processo di livellamento verso l’alto sarebbe stato lungo ed esposto a rovesci era noto da subito. Scegliere qualità e quantità dei sostegni alle comunità locali è esercizio molto complesso ed espone al rischio, o meglio alla certezza, di essere accusati di distorsioni elettorali.

Un approccio fantasioso e “narrativo” al governo

La faciloneria con cui Johnson affronta il governo di un paese che sta attraversando uno dei momenti più delicati della sua storia, non è garanzia di lieto fine. Anche se le sue performance pubbliche, quando fa confusione col testo del discorso e finisce a improvvisare sui parchi a tema sono godibilissime, almeno per chi non è elettore britannico.

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Se avete tempo e voglia, segnaliamo la costante derisione di Johnson per opera del suo ex consigliere-Rasputin, Dominic Cummings, defenestrato (secondo lui) non dal premier ma dalla di lui consorte, Carrie Symonds. Sono pagine di grande spessore letterario, dove giganteggia una inesausta creatività nell’elaborare nuovi modi per dare dell’imbecille a qualcuno.

Noi italiani conosciamo molto, di questo stile di cosiddetta leadership. Pensate al Ponte sullo Stretto, che pure ha vissuto il momento del tunnel sottomarino per una stagione breve ma intensa, almeno secondo i canoni della stampa d’intrattenimento da teatrino televisivo. Anche nella gestione pandemica, Johnson si conferma indeciso a tutto, al punto da elaborare precetti che da noi susciterebbero sdegno per pressappochismo.

Tipo imporre obbligo di mascherine nei negozi e sui trasporti pubblici ma “scordarlo” in pub e ristoranti. Ma transeat, la pandemia è fatta per fare esplodere contraddizioni e demolire certezze iper-razionalistiche, nel necessario incontro tra scienza e politica che genera miriadi di tradeoff e dove ci si illude sia possibile negoziare col virus o indurlo ad accettare un dato percorso normativo. Ma questa è un’altra storia, che un giorno racconteremo.

Photo by Number 10 on Flickr

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