Martedì sera, nel corso del talk “DiMartedì“, quello in cui ad intervalli regolari partono monocordi applausi di sottofondo che vanno in modo equanime a tesi ed antitesi, al punto che non sai mai se si tratti di registrazione o di un pubblico molto democratico e polite (o forse decerebrato), abbiamo potuto ascoltare per l’ennesima volta alcuni capisaldi di politica economica del M5S, per bocca del suo esponente più sovraesposto mediaticamente, il giovine di buone letture Luigi Di Maio.
Ora, c’è da premettere che da tempo immemore chi scrive ha smesso di guardare i talk politici italiani. Martedì ero intento ad uno zapping annoiato quando la mia attenzione è stata catturata dalla presenza, tra i giornalisti intervistatori, del bravissimo Paolo Pagliaro. Che, con Giovanni Floris e Massimo Giannini, ha chiesto a Di Maio quali sarebbero le prime misure di un governo pentastellato per rimettere la barca in linea di galleggiamento ed affrontare una legge di Stabilità da circa 30 miliardi di euro. Di Maio, che non si è laureato solo perché non voleva creare imbarazzo agli esaminatori, sfruttando la sua prestigiosa carica pubblica, ha snocciolato la stessa oliva ruminata da mesi, in un canovaccio che per ora regge la prova dei talk, anche perché viene blandamente o per nulla contrastato ogni volta che proferisce le sue minchiate.
Ci sono un paio di opzioni di policy, nel Di Maio-pensiero, che merita evidenziare. La prima è che le banche in difficoltà andrebbero nazionalizzate, perché in quel modo “potrebbero prestare a famiglie ed imprese”. Che poi è il sogno bagnato di moltitudini di demagoghi che passano il tempo a lucidare ed oliare la stampante di cartamoneta che tengono in cantina per le grandi occasioni. Niente merito di credito, quindi: l’ex webmaster e steward dello stadio San Paolo ed i suoi correligionari hanno trovato il proiettile d’argento, di matrice onirico-marxista: ad ognuno secondo i suoi fabbisogni finanziari. Chiedete, e vi sarà affidato.
Poi, poteva mancare la fondamentale “lotta alla corruzione”, con una pluralità di zeta? Quella è una voce che si può mettere a bilancio, notoriamente, al punto che Di Maio la cifra in dieci miliardi di euro, quindi saremmo a buon punto sul disinnesco delle clausole di salvaguardia renziane. Potremmo parlarvi poi della cacciata dei mercanti “privati” dal tempio di Banca d’Italia ma sarebbe tempo perso: i grillini hanno deciso che Palazzo Koch è privato (e anche no), e di conseguenza ogni idiozia ripetuta ossessivamente diventa assioma. Ma il punto che ci ha fatto sobbalzare, e che Di Maio reitera da settimane, è un altro. Una vera cornucopia di risparmi da portare alla luce. Per spiegare di che si tratta, lasciamo la parola a Luciano Capone, instancabile fact checker del grillismo e di tutto quanto fa gombloddo. Che oggi sul Foglio illustra la strategia di Di Maio:
“Tagliando con un decreto i consigli d’amministrazione delle partecipate che costano 9 miliardi e recuperando 10 miliardi dalla lotta alla corruzione”. Accorpando le partecipate, dice Di Maio, si possono recuperare 9 miliardi solo tagliando i posti nei cda, quelli “degli amici degli amici”. Si tratta una cifra ambiziosa, soprattutto perché secondo il dettagliato rapporto sulle partecipate dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli in Italia “ci sono circa 37 mila cariche nei consigli di amministrazione delle partecipate” il cui costo per il settore pubblico “è stimabile in circa 450 milioni“
Ora, uno tra Cottarelli e Di Maio non sa far di conto. Visto che sin qui Di Maio è apparso come il testimonial di un grande movimento d’opinione che punta ad affermare l’analfabetismo funzionale come unica vera radice culturale del popolo italiano, noi tenderemmo a fidarci delle stime di Cottarelli. Come che sia, il punto è uno solo, o una sòla: i grillini non hanno la più pallida idea di che diavolo sia la realtà. Sui conti pubblici si perdono parecchi zeri per strada, ad esempio, e non da oggi. E se Trump ha la Mother of all bombs, i pentastellati hanno un’altra MOAB, altrettanto devastante: la Mother of all bullshit.
E mentre il fact checking lascia doverosamente il posto al bullshit hunting, siate consapevoli che tra pochi mesi avrete un’arma formidabile tra le mani: la matita con cui scegliere il prossimo parlamento. Quindi, se anche voi siete stanchi degli inetti che sino ad oggi non sono riusciti a fare fallire il paese; se ne avete le tasche piene di bulletti egolatrici provenienti dell’hinterland fiorentino o di anziani teatranti scoppiati passati dalla pecorina alle pecorelle; se volete finalmente il default italiano ed il commissariamento dell’Italia per opera della Troika, dell’Onu e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oggi sapete come fare: un voto al M5S e ce la faremo. Per dire basta a questo insostenibile traccheggiamento sulla strada di un fallimento che tarda da troppo.