Banco Popular, quando gli stress test non servono

Proseguiamo con il post mortem di Banco Popular, vista la rilevanza assoluta dell’evento anche per noi poveri italiani affetti da sindrome di accerchiamento. Oggi proviamo a dedicarci al tema che appassiona alcuni segugi di casa nostra, sempre pronti a levare il ditino contro le assai imperfette istituzioni comunitarie, spesso nel disperato tentativo di affermare il principio che la notte tutte i gatti sono bigi, e quindi tentare di ottenere l’immancabile deroga alla realtà e continuare a coccolarci le nostre macerie.

“Il Banco Popular aveva passato lo stress test, ecco i risultati!”, è il ritornello ricorrente dei nostri esperti produttori di fallacie e non sequitur. Vero, e quindi? Partiamo dall’antefatto. Banco Popular aveva un livello di accantonamenti a crediti deteriorati, prima di annunciare un aumento di capitale da 2,5 miliardi, a maggio dello scorso anno, di solo il 38%, contro una media di sistema di circa il 50%. A fine esercizio, la banca ha effettuato svalutazioni per 4,2 miliardi di euro, legate al portafoglio di crediti immobiliari, eredità del crack immobiliare spagnolo. Evidentemente, Popular era sfuggita alla grande ripulitura. Il 2016 si era chiuso con una perdita di 3,5 miliardi ma con redditività al netto delle componenti straordinarie positiva per 185 milioni.

A maggio dello scorso anno la banca ha effettuato un aumento di capitale (il secondo dal 2012) fortemente diluitivo, pari a 2,5 miliardi, la metà della sua capitalizzazione di quel momento. Quest’anno, qualcosa è precipitato: lo storico presidente, Angel Ron, è stato accompagnato alla porta e sostituito da Emilio Saracho, ex JPMorgan Londra. Il quale si è trovato subito a dover affrontare una ulteriore drammatica pulizia. Ma pare anche aver compiuto alcuni fatali errori strategici, come ad esempio annunciare (ad aprile) un aumento di capitale o la cessione della banca ad un concorrente, ma senza dettagliare piani che evidentemente non esistevano.

Da notare che, a fine 2016, quindi dopo l’ultima tornata di stress test della Bce ma prima delle mega-rettifiche su crediti immobiliari, la banca aveva un Common Equity Tier 1 del 13,7%, valore di tutto rispetto. Cosa ci insegna questa vicenda, tra le altre cose? Soprattutto, che il CET1 non serve a nulla, se il valore netto dei crediti è irrealisticamente elevato. O peggio, gonfiato in modo fraudolento. La sequenza di eventi è familiare: si parte con indici patrimoniali molto buoni, così elevati da superare gli stress test, poi arrivano le rettifiche che abbattono i coefficienti sotto la media dei concorrenti, poi si scoprono anomalie contabili.

E infatti, puntuale come una cambiale all’incasso, a inizio aprile i revisori di PwC scoprono anomalie da “insufficienti accantonamenti” a perdite su crediti per ulteriori 600 milioni. Ma soprattutto scoprono che, in occasione dell’aumento di capitale dello scorso anno, la banca ha erogato prestiti a propri clienti per sottoscrivere quella ricapitalizzazione. Un vizietto che in Veneto (e non solo) conoscono bene. Si dimette anche il ceo, Pedro Larena, per “motivi personali” (forse qualche somatizzazione), e Saracho resta solo al timone della nave, solo per scoprire che il timone è spezzato.

Il resto è storia recente, coi tentativi vieppiù affannosi di organizzare l’ennesimo aumento di capitale, cercare compratori od organizzare dismissioni patrimoniali. Suggestiva, se ci passate il termine, la modalità del collasso finale: una cara, vecchia corsa agli sportelli. Come riporta il Financial Times, lunedì la banca chiede alla banca centrale spagnola un prestito di liquidità d’emergenza (ELA, Emergency Liquidity Assistance) per 2 miliardi, per fare fronte ai prelevamenti dei clienti. Si ricorre alla ELA quando non si hanno più attivi stanziabili per avere prestiti della Bce, il che indica la gravità della situazione del Popular. Martedì, altra richiesta di ELA per 1,6 miliardi. I fondi durano una mattinata. Game over.

Del tutto plausibile, anzi assai probabile, che la banca sia stata messa in ginocchio da prelievi di clienti corporate, più che dai privati: i primi sono quelli che si manifestano con rapidità e violenza, al precipitare della situazione. Il resto è più o meno noto. Ciò premesso, reiteriamo la domanda: le autorità spagnole hanno preferito gestire la cessione a Santander, negando fidi pubblici di emergenza (come quelli dati alle due venete, sotto forma di garanzia) perché semplicemente non ci sarebbe stato tempo di predisporre? Possibile.

Altro punto: sul collasso della banca, i depositi evaporano molto prima che le autorità riescano a gestire la situazione. Ciò lascia gli obbligazionisti completamente nudi ed intrappolati all’inferno. Il caso (o altro) ha voluto che per Popular bastasse azzerare i subordinati, ma si poteva tranquillamente arrivare sino ai senior.

Veniamo agli stress test della Bce. Inutili? Inadeguati? Metodologicamente fallaci? Possibile, a partire dalle ipotesi di scenario su cui sono costruiti. Ma c’è un però. La Bce, nello svolgimento degli stress test, commissiona le analisi a società private, quali Oliver Wyman e Roland Berger. Ora, questi valutatori evidentemente non arrivano a scavare nel portafoglio crediti e/o a riuscire a capire se la valutazione dei crediti al netto degli accantonamenti è corretta. Se poi ci sono falsi e condotte criminali, il lavoro è ancora più improbo ed inane. Ecco quindi che dai test escono valori di CET1 del tutto soddisfacenti, anche sotto stress.

Ma, ripetiamolo: il valore di CET1, in presenza di crediti ammalorati non pienamente rettificati, non vale nulla. Se poi aveste buona memoria, ricordereste che la Vicenza fu inchiodata dagli esiti di una ispezione Bankitalia, con l’amorevole supervisione della Bce, che scopri i fidi “baciati”, ed impose rettifiche patrimoniali tali da avviare l’inizio della fine per la banca di Zonin.

Non si comprende, quindi, di che utilità possa essere il piagnisteo sugli stress test della Bce. A dire “così fan tutti”, e quindi a chiedere clemenza e deroghe sulle ricapitalizzazioni? Sarebbe futile. Gli stress test bancari sono un po’ come i test sulle emissioni di NOx delle auto diesel: si massaggiano i dati delle sofferenze sperando di cavarsela e di non essere pizzicati, in attesa che il casino si risolva, in qualche modo. Ma non c’è alcuna congiura contro i poveri italiani, fidatevi.

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