Su l’Economia del Corriere, questa settimana Marcello Minenna si occupa della proposta di ridurre la concentrazione di titoli di stato domestici nel portafoglio delle banche. Come noto, si tratta di un intervento che, attenuando il legame banco-sovrano, riduce il rischio di avvitamento di una crisi e rappresenterebbe anche il passo decisivo per raggiungere l’agognata unione bancaria, con assicurazione dei depositi, togliendo ai tedeschi (e non solo a loro) l’attuale poderoso argomento per il nein. Come altrettanto noto, Minenna si batte patriotticamente da tempo per giungere alla creazione di un asset comune europeo, ignorando sistematicamente l’interesse nazionale altrui. Ma in questo psichedelico articoletto si supera.
L’antefatto: i titoli di stato dell’Eurozona hanno sin qui avuto una ponderazione per il rischio pari a zero, come se non esistesse rischio sovrano nazionale. Le banche italiane si sono rifugiate dietro questa finzione per ridurre il fabbisogno di capitale di vigilanza, oltre che in periodi di crisi di credito, dopo l’esplosione delle sofferenze. Va da sé che, in caso di dissesto sovrano italiano e necessità di ridurre lo stock di debito pubblico mediante ristrutturazione del medesimo, le banche salterebbero un minuto dopo ed andrebbero ricapitalizzate, verosimilmente con soldi del ESM europeo. Ecco perché serve recidere o attenuare fortemente il legame banco-sovrano.
Per sbloccare lo stallo, oltre che per avvicinarsi alla realtà, si è iniziato a discutere di norme cogenti per ridurre la concentrazione di titoli di stato domestici nel portafoglio delle banche. Le due strade percorribili prevedono o un coefficiente di ponderazione per il rischio specifico al singolo paese, che quindi imporrebbe alle banche di accantonare capitale a fronte dell’investimento in titoli di stato, come avviene per i prestiti; oppure un taglio all’esposizione nazionale. Una ricerca patrocinata dal Parlamento europeo suggerisce un tetto di titoli di stato pari al 33% del capitale Tier 1 della banca, da applicare ai nuovi acquisti, superato il quale si deve accantonare capitale.
La prima considerazione di Minenna è che le più colpite da questa misura sarebbero le banche tedesche:
«Infatti ipotizzando che le banche decidano di sostenere in toto le sanzioni senza dismettere i titoli, quelle tedesche pagherebbero oltre il 3% in termini di Tier 1, mentre l’impatto sulle nostre banche sarebbe limitato all’1,09%. Il meccanismo sanzionatorio sarebbe poi a scalare negli anni»
E fin qui, potremmo tirare un sospiro di sollievo e, soprattutto, esprimere compiacimento per aver rinunciato per una volta all’italico piagnisteo sul paese vittima di complotti tedeschi, francesi e romulani. E invece no, perché Minenna è lesto a cogliere il complottone:
«Peccato che il risk-weighting, eliminato ufficialmente, rientri surrettiziamente nel momento in cui si considera che le banche non pagheranno le sanzioni ma diversificheranno i portafogli vendendo i titoli di Stato per ridurre i rischi. La diversificazione però ha un costo»
Oh bella, e che accadrà, quindi?
«Alle banche italiane, vendere Btp e comprare Bund o Oat costa parecchio. Paradossalmente, una banca tedesca che possiede il 100% di Bund e diversifica con Btp o Oat ottiene un profitto. Quindi nel complesso la riforma produrrà un rimescolamento dei titoli senza grossi impatti, ma ci saranno trasferimenti di risorse finanziarie dagli istituti periferici che pagano per diversificare a quelli tedeschi che ottengono un benefïcio»
A Minenna non la si fa, perdio! La mossa è chiaramente un complotto per regalare un “profitto” alle banche tedesche, facendo loro comprare i Btp, che notoriamente hanno un rendimento a scadenza superiore a quello dei Bund. Ecco la pistola fumante dell’ennesimo tentativo di privare le nostre banche del loro ricco rendimento. Ed ecco i “trasferimenti di risorse finanziarie” dai piccoli virtuosi italiani verso quei viziosi ariani. Beccati con le mani nel vasetto dei Btp! Ma soprattutto, emerge qui un concetto di portata dirompente: per Marcello Minenna esiste l’equazione rendimento a scadenza uguale profitto.
Certo, c’è il dettaglio che il rendimento esprime la remunerazione del rischio (più rischio, più rendimento, do you remember?), ma per Minenna evidentemente questo è un dettaglio serenamente trascurabile. Concetti del genere sono la reiterazione di un fondamentale arbitraggio di antimateria, come mirabilmente descritto da Sandro Brusco:
«[…] emettiamo debito in modo massiccio all’attuale tasso di interesse e con i soldi raccolti compriamo titoli di stato portoghesi. Il rischio è lo stesso e il tasso di interesse che paghiamo sul nostro debito è inferiore a quello che i portoghesi ci pagano sui soldi che prestiamo loro. Visto che non c’è rischio addizionale, possiamo lucrare allegramente la differenza tra i tassi. E anche se la differenza tra i tassi d’interesse è piccola, possiamo rimediare con la quantità, fino a comprarci tutto il debito portoghese. Tutto guadagno, nessuna fatica, nessun rischio»
Qui Sandro commentava il precetto minenniano dello spread zero come obiettivo a cui portare l’Eurozona, altrimenti gli italiani sarebbero svantaggiati. Tempo addietro ho già spiegato perché, se mai arrivassimo a quel miraggio, il problema di rischio-paese resterebbe intatto. Ma qui il punto pare essere che Minenna consideri già oggi inesistente il rischio-paese, nella situazione attuale. Solo così si spiega l’assurdità di considerare lo spread (cioè rendimenti dei Btp superiori a quelli dei Bund) come una sorta di tesoretto che il nostro paese e le nostre banche devono difendere con le unghie e con i denti, perché altrimenti sarebbe un “trasferimento di risorse finanziarie” a favore dei crucchi.
Ah, a proposito: ma pensate quanto sono coglioni, questi tesorieri di banche tedesche. Potrebbero comprarsi i Btp, i Bonos, i titoli di stato portoghesi, soprattutto quelli greci! E invece no, si ostinano a tenersi i Bund, poveri fessi. Ecco quindi che le nuove norme, se mai vedranno la luce, li premieranno, anche se sono stupidi e non sanno investire, a tutto danno delle nostre banche, che incassavano i ricchi rendimenti dei nostri amati Btp.
Quindi, per riassumere: se c’è lo spread (cioè se i Btp rendono più dei Bund), per Minenna è un complotto contro l’Italia; se invece si chiede alle banche europee di ridurre la concentrazione di titoli domestici, inducendo quindi i tedeschi a beccarsi il nostro spread (cioè i Btp), ecco che trattasi di “profitto” per loro. Repetita: il differenziale di rendimento tra Btp e Bund, per Minenna, nei giorni pari è un complotto contro l’Italia, la cui competitività viene danneggiata; nei giorni dispari, quel differenziale è un tesoretto da tenersi stretto e difendere dalla cupidigia dello Straniero.
Una piccola nota a margine, per i cultori della materia: si narra che, diversificando il portafoglio di attivi finanziari, e quindi riducendo il peso del debito domestico, le nostre banche beneficerebbero della riduzione della loro rischiosità, che a sua volta innalzerebbe il valore del loro capitale azionario. Non secondo Minenna (“un rimescolamento dei titoli senza grossi impatti”), per il quale conta invece solo il rendimento a scadenza dei titoli di stato domestici. Noi restiamo quindi in speranzosa attesa che Minenna lasci il dipartimento di ricerche quantitative della Consob, e divenga gestore di un bel portafoglio obbligazionario. Date le premesse, temiamo si tratterebbe di un fondo avverso non tanto al rischio bensì al concetto di rischio.
Aggiornamento – Minenna, dopo un futile tentativo di manifestare superiorità ex cathedra, conferma che per lui ciò che conta è il “costo” dei flussi di cassa, non il beneficio della diversificazione. Il punto di questo post resta perfettamente intatto, la perplessità invece è ulteriormente accresciuta.
Guarda, io non faccio "politica". Dico solo che se tu ignori che la diversificazione ha costi per chi deve conseguirla, abbiamo un problema di basi. E peraltro, costi di cashflow sono non-costi rispetto ad abbattimento ERP che ne deriva
— Mario Seminerio (@Phastidio) December 6, 2017