Oggi inauguriamo una serie di post che dovranno accompagnarci sino alle elezioni del 4 marzo. In pratica, l’intenzione (o aberrazione, fate voi) sarebbe quella di segnalare le promesse elettorali dei nostri rappresentanti, attuali o futuri. Una piccola raccolta, senza pretesa di esaustività, per valutare incoerenze, piccole e grandi demagogie e, ove mai vi fossero, anche proposte vagamente ragionevoli, o comunque da stato di coscienza non alterato.
La notizia del giorno è quella secondo cui il Pd si accingerebbe a proporre l’eliminazione del canone Rai, per la prossima legislatura. Come riporta Repubblica, pare che Matteo Renzi sottoporrà alla direzione del partito l’abolizione della “brutta tassa”, che poi sarebbe il canone Rai. La “bruttezza” della tassa deriva dal fatto che la medesima viene resa esplicita, immaginiamo. Occhio non vede, cuore non duole. E quindi, bisognerebbe annegare il canone nella fiscalità generale, il che vorrebbe dire porre a carico di chi paga le tasse una cifra compresa tra 1,5 e 2 miliardi annui.
Che la proposta venga dall’uomo che mise il canone in bolletta per contrastare l’evasione, è contraddizione che sfuggirà ai più. A dirla tutta, potrebbe essere contraddizione solo apparente. Un tempo il “comune sentire” era indirizzato sul mitologico slogan “pagare tutti, pagare meno”, e quello abbiamo dato al popolo stressato.
Senonché, il popolo stressato ama che a pagare sia il vicino, e per sé tende sempre ad avere esimenti, deroghe e cani che si mangiano i compiti. Evidentemente Renzi, accortosi di ciò, tenta di correre ai ripari. Per la copertura, però, il nostro giovine Machiavelli ne ha pensata una delle sue: eliminare il tetto di affollamento pubblicitario del 4%, imposto alla Rai. Misura che finirebbe dritta sui denti di Mediaset, cioè di Berlusconi, e proprio in un momento in cui non si naviga nell’oro, come raccolta pubblicitaria, visto che Piersilvio Berlusconi di recente ha sostenuto che servirebbe invece privare la Rai della pubblicità; per dare più ossigeno alle reti del Biscione, è l’assunto implicito.
Come finirà? In nulla, ovviamente. Ma tutto serve, per fare casino e dar da lavorare a retroscenisti, editorialisti, analisti ed onanisti assortiti che affollano il bordo dello stagno. Un spin al giorno leva il neurone di torno.
Oggi, su La Stampa, trovate anche un’analisi, curata da Alessandro Barbera, sulle misure di politica economica pentastellata in via affinamento. Dunque, vediamo: intanto, deficit a sforare il 3% del Pil, che come mossa d’apertura è il minimo sindacale, e che vi ripeterebbe anche la vostra portinaia o il vostro barista. Ma è deficit che andrebbe a finanziare un aumento di spesa pubblica dell’ordine di 100 miliardi annui per “almeno due o tre anni”. Commenta Barbera:
«Dopo, solo dopo, e grazie ad un forte aumento del prodotto interno lordo indotto dagli investimenti pubblici, il debito dovrebbe cominciare magicamente a scendere fin sotto il 100 per cento»
Ma il deficit colmerà solo parte della nuova spesa, perché ci sarà una “redistribuzione” di spesa pensionistica. Nelle parole della nota “esperta” Laura Castelli:
«Il problema dei diritti acquisiti si può superare togliendo una quota a tutte le pensioni per poi redistribuire i risparmi da quelle d’oro a quelle più basse»
Geniale, no? Mettiamo una sorta di addizionale Irpef mirata sui redditi di pensione, e disarmiamo la Consulta. Quanto al debito pubblico, che “calerà, ma non subito”, lo abbiamo già sentito, in tutti questi anni. Proposte banalotte, del tutto avulse dal contesto internazionale, dall’azione della Bce, dalla realtà, che è quella di uno dei maggiori episodi di crescita economica che il nostro paese abbia mai goduto, negli ultimi lustri. Con tutto quello che ciò implica per lo scenario dei conti pubblici in caso di nuova recessione.
Però è interessante vedere la grande inventiva che questi giovanotti e giovanotte mettono, nello sparare scemenze.
Continua.