Tra i componenti del mediatico e mediatizzato “governo” del M5S, presentati da Luigi Di Maio a cittadinanza e Segretario generale del Quirinale, c’è Pasquale Tridico, associato di Politica Economica a Roma Tre, a cui sarebbe affidato il ministero del Lavoro. Mi sono già occupato di recente di una sua levata d’ingegno, probabilmente quella che ha ammaliato il titolare della Casaleggio Associati ed i suoi collaboratori. Oggi in una intervista a La Stampa, il ministro in pectore precisa altri punti programmatici.
Intanto, per Tridico, serve contrastare gli eccessi di flessibilità del mercato del lavoro, introdotti con il Jobs Act e soprattutto col decreto Poletti sul tempo determinato, perché
«Le evidenze empiriche mostrano che sono i Paesi con mercati meno flessibili a presentare le migliori performance in termini di produttività del lavoro in Europa»
Questo punto è interessante, ma pare leggere il flusso causale a senso unico. Nei paesi con storie di produzioni ad elevato valore aggiunto, che necessitano di competenze persistenti e sottoposte a formazione continua nel corso della vita lavorativa, la stabilità del rapporto di lavoro è importante, oltre che nell’evidente interesse dell’impresa. Per come argomenta Tridico, sembrerebbe sufficiente bloccare la flessibilità anche di soggetti a limitate skills per indurre miglioramenti nella performance produttiva. Causa ed effetto sono ancora importanti, nel mondo reale.
Tridico è inoltre molto critico del tempo determinato introdotto dal decreto Poletti, con la sua acausalità e le sue cinque proroghe possibili in 36 mesi di rapporto massimo. Non senza ragione, nel senso che anche il Pd o chi per esso dovrebbe usare lo stesso approccio critico, per cercare di capire perché il tempo determinato sta stracciando l’indeterminato a tutele crescenti (o meglio, a monetizzazione crescente) nella creazione di nuova occupazione. Il problema è sempre e solo la convenienza economica, ma certo non si risolve aumentando il costo del tempo determinato bensì riducendo quello dell’indeterminato.
Interessante la posizione di Tridico sulla riduzione del costo del lavoro:
«Il nostro intervento sul cuneo fiscale sarà selettivo, perché in linea teorica abbassare eccessivamente il costo del lavoro spinge le imprese a investire in produzioni labour intensive, ostacolando crescita della produttività e innovazione tecnologica. Ci vuole equilibrio. Stiamo pensando a riduzioni in determinati settori economici e soprattutto sui lavoratori più giovani, a patto che la riduzione si accompagni all’aumento degli investimenti in innovazione»
Questo punto si raccorda con quanto detto sopra riguardo alla flessibilità, e pare indicare che Tridico ha chiara la causalità: si aumenta investimento e generazione di valore aggiunto, e la protezione del lavoro seguirà “spontaneamente”. Punto teorico ma non errato.
E veniamo al reddito di cittadinanza, quello sui cui l’economista di Roma Tre ha costruito la sua ingegnosa proposta di moto perpetuo, che qui reitera:
«La nostra misura di fatto è un reddito minimo condizionato, rivolta a circa 10 milioni di persone a cui permetterà anche di formarsi e di trovare un nuovo lavoro, nel caso non ce l’abbiano. Le coperture del reddito di cittadinanza sono state illustrate dal M5S e sono state anche dichiarate ammissibili nelle commissioni Bilancio. Inoltre, farà aumentare anche il Pil potenziale e quindi i margini di flessibilità in deficit concessi automaticamente in rispetto alle clausole europee»
Come ho scritto di recente, questa è una purissima genialata: spingere gli inattivi da scoraggiamento a iscriversi al collocamento, per diventare ufficialmente disoccupati. In tal modo, cresce l’output gap e la possibilità di fare più deficit, che va a finanziare il reddito di cittadinanza. Ancor più interessante la risposta di Tridico alle mie obiezioni sul merito: basta fare più deficit, a prescindere da improbabili potenziamenti del collocamento pubblico, per riassorbire quella che per lui è solo disoccupazione ciclica, non strutturale. Non esiste quindi isteresi né skills mismatch; siamo al puro keynesismo oltre Keynes, diciamo.
Su disoccupazione giovanile e Mezzogiorno, due piccioni con una fava:
«La disoccupazione giovanile, che colpisce soprattutto il Sud, è la priorità. Pensiamo a una clausola che vincoli il settore pubblico ad indirizzare almeno il 34% degli investimenti nel Mezzogiorno per aumentare l’occupazione. Una clausola che in passato funzionava»
Funzionava? Siamo sicuri? Ad ogni buon conto, anche questa è la risposta keynesiana all’italiana: la Cassa per il Mezzogiorno in conto capitale. Bizzarro il vincolo di destinazione del 34% (sic) di spesa nel Mezzogiorno: si assegna la quota che il territorio dovrebbe comunque avere, rispetto al resto d’Italia. Forse per rassicurare quanti, fuori dal Mezzogiorno, attendono assetati i soldi pubblici. La produttività seguirà. Sulla legge Fornero, idee chiare, si fa per dire:
Davvero cancellerebbe la Fornero? Con quali soldi?
«Stiamo pensando a un superamento graduale, che costerà 11 miliardi annui. Con la nostra riforma si potrà andare in pensione o dopo 41 anni di contributi versati, qualunque sia l’età, o quando la somma tra età contributiva ed età anagrafica fa 100. In sintesi quota 41 e quota 100. Inoltre bloccheremo per 5 anni l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e istituiremo un Osservatorio per i lavori usuranti al fine di estendere il perimetro di questa particolare categoria»
In pratica, quota 41 e quota 100, e lavori riclassificati usuranti come se non ci fosse un domani. Che infatti continua a non esserci. Un paese di usurati col reddito di cittadinanza, in prospettiva. Non a caso, dalle parti di Napoli, il verbo lavorare diventa “faticare”. E poi, sono solo 11 miliardi annui a regime, che sarà mai?
Una valutazione del Tridico-pensiero? Che si tratta di approccio molto tradizionale, di puro keynesismo all’italiana in un paese fiscalmente fallito. Come tale, dovrebbe esercitare robusto appeal verso tutti i tossici di spesa pubblica che affollano questo paese, a destra come a sinistra. Che sono, come noto, categorie superate, come non si stancano di ripetere quelli del MoVimento. Infatti in Italia esiste da sempre una sola ideologia: quella delle idrovore della spesa pubblica.