Su lavoce.info, un post di Ugo Arrigo da classificare alla voce “conoscere per deliberare”, ci spiega perché la nostra rete ferroviaria, che di recente ha dovuto capitolare causa gelo, non sia sotto-finanziata, semmai il contrario.
I ricavi della rete ferroviaria italiana, societarizzata dall’anno 2000 come RFI, sotto il controllo di Ferrovie dello Stato italiane, sono la somma dei pedaggi pagati dalle compagnie ferroviarie (Trenitalia, Italo-NTV, Trenord, i gestori merci) e di trasferimenti pubblici, quasi tutti in conto capitale, per “operazioni di manutenzione, nonché il miglioramento della qualità dell’infrastruttura e dei servizi ad essa connessi, al fine di ridurre i costi di fornitura dell’infrastruttura e l’entità dei diritti di accesso”, come recita l’articolo 14, comma 4 del dlgs. 188/2003.
A questo punto, Ugo cerca di ricostruire i contributi pubblici alla rete ferroviaria erogati in Italia, Francia, Svezia e Regno Unito, armonizzandoli, e scopre quanto segue:
«Il dato totale italiano, che include i contributi in conto impianti erogati dal 2006 e gli apporti pubblici al capitale sociale Fs antecedenti, ammonta a 71,5 miliardi. Nello stesso periodo, lo stato francese ha versato in conto capitale alla sua rete 37 miliardi, quello britannico 56 miliardi e quello svedese 25 miliardi»
Se rapportiamo alla lunghezza della rete la spesa pubblica così quantificata, troviamo questi dati di spesa media per chilometro di rete e di binario:
Con la precisazione che, nel periodo considerato, mentre l’Italia creava altri 750 km di rete, la Francia ne posava il doppio, quindi non c’è proprio modo di parlare di sotto-finanziamento. E oggi siamo felicemente alle prese con la mancanza parziale di scaldiglie nel nodo di Roma, che già di suo è segno di discreta stupidità, perché le scaldiglie o le posi tutte o lasci perdere.
Morale della fiaba: in questo paese non esiste alcuna forma di analisi costi-benefici per la spesa pubblica in conto capitale. Si spende, e basta. Ricordatevi di questo, la prossima volta che un sovrano imbecille vi dirà che siamo alla fame e le nostre infrastrutture crollano perché “c’è l’austerità”. Questo è il confortevole alibi di un paese che da decenni è incapace di programmare e rapportare il beneficio degli investimenti pubblici al costo per essi sostenuto.