Popolare Bari, alla ricerca del prezzo perduto

Su Plus del Sole di questa settimana, un articolo di Nicola Borzi ci aggiorna sulle vicissitudini dei soci della Banca Popolare di Bari, che tentano senza successo di liquidare le loro azioni, in portafoglio a quelli che sono ormai prezzi di affezione.

La banca, che il prossimo autunno diverrà società per azioni, dopo la pronuncia della Consulta sulla legittimità del blocco del diritto di recesso per gli azionisti dissenzienti, che può essere imposto dalla Banca d’Italia, ha presentato i conti del 2017 con un utile simbolico, che equivale ad un ritorno sui mezzi propri (Roe) ancor più simbolico, dello 0,1% dopo lo 0,5% dello scorso anno. Si segnala che la banca ha effettuato svalutazioni di avviamenti per 18,5 milioni di euro, che hanno depresso l’utile.

La vera notizia, però, non è “cosa sarebbe accaduto se non avessi dovuto svalutare” ma il fatto che ci siano ancora banche che devono effettuare svalutazioni di avviamenti, dopo le grandi ubriacature degli scorsi anni, che hanno gonfiato il valore del capitale azionario e di conseguenza il prezzo di emissione di nuove azioni. E qui veniamo alle dolenti note: le azioni, appunto.

La Popolare barese non era quotata, quindi le sue azioni venivano scambiate attraverso il solito, improbabile mercatino interno, dove si incrociano le partite in vendita ed in acquisto senza muovere il prezzo. Lo squilibrio nei flussi ha impedito di tenere il prezzo in equilibrio, per eccesso di venditori, dopo che la banca ha preso parzialmente atto della realtà, con una prima rettifica a 7,3 euro del loro valore unitario, pochi mesi dopo un aumento di capitale che le ha collocate a 8,95 euro.

Poiché altre banche si trovavano in questa spiacevole condizione, è stato creato un mercatino telematico, Hi Mtf, nella speranza di giungere alla cosiddetta price discovery, cioè a scoprire a che prezzo domanda ed offerta di azioni giungano in equilibrio. Questo mercato è nato con una serie di transenne, puntelli e rotelline stabilizzatrici, per evitare crolli di prezzo. Bande di oscillazione massime di 8%, che restano tali per periodi protratti, dopo di che si abbassa il valore centrale di prezzo a cui l’oscillazione viene applicata.

E così, molto dolcemente, e nella persistente assenza di equilibrio, l’ultimo prezzo teorico è a 5,4 euro, senza scambi. Ora, l’assemblea della Popolare ha deliberato l’ovvio, cioè che i nuovi soci, in occasione di aumento di capitale, non dovranno pagare sovrapprezzo rispetto al valore nominale di 5 euro. Decisione scontata, visto che siamo ancora ben lontani dalla price discovery, cioè da sapere quanto diavolo vale, per il mercato, un’azione della Popolare. Incidentalmente, non si è ancora capito quanto valgono quattro prestiti subordinati della banca, non quotati da nessuna parte. Servirà pazienza anche lì.

Unica certezza di questo momento è che, con un prezzo a 5 euro, si registra una perdita di un terzo rispetto ai 7,5 euro di inizio quotazioni su Hi Mtf e di quasi il 50% rispetto al massimo “peritale” di 9,53 euro. Ma il prezzo dovrà scendere ancora, visto che la banca è priva di redditività, come mostrano i suoi numeri di bilancio. Prima arriva quella, poi il prezzo si sistema.

Attenzione: non stiamo parlando di un istituto in crisi. Semplicemente, di una banca che in passato ha venduto azioni sulla base di un prezzo non sottoposto a “certificazione” di un mercato. Poi il mondo è cambiato, e si è scoperto che quel prezzo incorporava prospettive di redditività irrealistiche. Ad assai poco è servito dire che “se non fosse stato per la trasformazione in SpA“, oppure che i multipli di un istituto non quotato sono più elevati di quelli di una quotata (davvero? Interessante).

Che fare, quindi? Qualcuno sta ricorrendo alla magistratura, dopo che la banca ha respinto le indicazioni dell’Arbitro per le controversie finanziarie, istituito presso la Consob, che le aveva imposto di risarcire gli azionisti perché questi ultimi non erano in grado di percepire la rischiosità dei titoli. Come sempre, ed al netto di truffe dei dipendenti delle banche su ordine del loro datore di lavoro, partiamo dal presupposto che i risparmiatori che investono in azioni, cioè in capitale di rischio, siano meritevoli di tutela per la loro ignoranza. Premessa assai opinabile, a mio avviso, ma in un paese come questo, dove l’analfabetismo finanziario è regola di vita, può essere. E non si venga a dire che un socio di cooperativa non è un investitore, perché sarebbe esattamente come dire che una cooperativa non può fallire, per diritto divino.

Che accadrà, ora? Molto semplice. Da un lato, la banca dovrà lavorare duramente per tornare alla redditività, unico modo per sostenere e rafforzare il prezzo delle azioni, qualunque esso sia. Se la Popolare dovesse essere condannata a risarcimenti, salterebbe. Certo, ora uscirà il grillino di turno a dire che bisogna perseguire gli amministratori e cavare dalle loro tasche quanto serve. Nell’attesa di quel momento, la banca ha fatto entrare in cda un pezzo pregiato quale il professor Giulio Sapelli, la cui funzione sarà, presumibilmente, quella di convincere i soci della banca che è colpa della Merkel.

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