Little Pound, Little England

Nel mese di luglio, la sterlina ha perso contro dollaro il 4% circa, mentre contro euro la discesa è stata di quasi il 3% negli ultimi quattro giorni. Nulla di misterioso, è il mercato che sta prezzando una crescente probabilità di una Hard Brexit il giorno di Halloween (simbolismo piuttosto azzeccato), mentre il neo premier Boris Johnson sta mostrando quel priapismo mascellare che noi italiani ben conosciamo in uno dei nostri vicepremier, quello noto per le retromarce e le fughe, oltre che per l’assenteismo dai consessi europei.

Come ho scritto un paio di anni addietro, il quadro è di agevole lettura: il Regno Unito ha un deficit delle partite correnti, per riequilibrare il quale serve un crollo del cambio. Se ci fermassimo qui, sarebbe tutto molto bello, inclusi i girotondi di alcuni guitti italiani che vedono nella svalutazione del cambio una potente arma per riacquistare autonomia economica e politica. Certo, certo.

In realtà, il Regno Unito da una Hard Brexit vedrebbe un’imponente fuoriuscita di manifattura, venendo meno il ruolo di porta verso l’Europa continentale. Certo, tutto si può recuperare, magari attuando il Piano B della “Singapore sul Tamigi” (auguri), ma si tratterebbe di processo né semplice né indolore. Ricordate che le transizioni, come le rivoluzioni, non sono pranzi di gala.

Oltre alle merci ci sono i servizi, segnatamente quelli finanziari, con la perdita del passporting europeo per le banche britanniche. Se fate due conti, giungerete a realizzare che siamo di fronte ad un riequilibrio del cambio che non rilancerà alcunché, men che mai la competitività. Questo però è risaputo da sempre, tranne che in alcuni circoli politici italiani e tra il loro seguito di pennivendoli e strimpellatori di tastiere.

Poi ci sono altre ricadute potenziali: la prima si chiama Irlanda del Nord. Johnson non intende sentir parlare di backstop, cioè di accordi che di fatto separino l’Ulster dal resto del regno, per evitare barriere doganali fisiche tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Ieri il governo di Londra ha rifiutato di escludere la possibilità di assumere il governo diretto della Nord Irlanda, bypassando il suo parlamento devoluto, peraltro paralizzato da tempo per un contrasto tra gli unionisti del DUP e lo Sinn Féin.

Anche se non è la prima volta, dall’Accordo del Venerdì Santo del 1998, che Londra prende il controllo dell’Irlanda del Nord, stavolta sarebbe differente, con aumento delle tensioni e nuove e più alte voci favorevoli alla riunificazione delle due Irlande. In Scozia, una Hard Brexit ridarebbe fiato allo Scottish National Party, mettendo in seria difficoltà i Conservatori locali e la loro leader Ruth Davidson. La richiesta di un nuovo referendum di secessione tornerebbe a levarsi alta.

Nel frattempo, Johnson è andato nella tana del Labour, a Manchester, promettendo una bella linea ferroviaria ad alta velocità ed altre cose, nel tentativo di mettere all’angolo il partito di Jeremy Corbyn. L’opzione di elezioni anticipare resta sul tavolo, come sempre.

Johnson si prepara, almeno così pare, ad un no-deal, e rifiuta di viaggiare tra le capitali europee per non dare l’impressione di esserne rimbalzato, come accaduto alla povera Theresa May. Ma non è che le cose siano realmente mutate, con l’arrivo a Downing Street dell’ex sindaco di Londra, in primo luogo la pressoché inesistente maggioranza parlamentare del governo. Anche minacciare di trattenere i 39 miliardi di conto di uscita non pare esattamente un’arma negoziale.

Riepilogando: l’andamento del cambio è esattamente quello che ci si attende in questi casi; la “questione irlandese” resta centrale alla Brexit; il rischio che un’uscita disordinata inneschi, oltre che una profonda recessione, anche forti pulsioni secessionistiche resta sul tavolo. La Little England nazionalista e sciovinista di Johnson farà a sua volta i conti con la realtà. La prima cosa da fare, in questi casi, è ricordare che l’Impero è finito da un pezzo. E una Hard Brexit potrebbe segnare l’inizio della decostruzione del Regno Unito, in modalità carciofo.

Ma io resto della mia idea: poiché il popolo sovrano si è espresso (a livello nazionale, ovviamente), Hard Brexit sia. Quindi, forza Boris. E forza Realtà (con la maiuscola), soprattutto. Che è l’unico partito a cui sono iscritto, notoriamente.


P.S. Sul deprezzamento della sterlina, Johnson sapeva con chi prendersela, una decina di anni addietro.

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