Il “latinorum” di Conte: essere trasparenti significa anche farsi capire

di Vitalba Azzollini

A volte, l’eloquio del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, fa tornare alla mente una pagina dei Promessi Sposi. Don Abbondio – cui i Bravi avevano rivolto la nota intimazione «Questo matrimonio non s’ha da fare» – vuol convincere Renzo dell’impossibilità di celebrare le nozze con Lucia.

Per tacitare il giovane, che non si arrende, il parroco decide di sfoggiare argomenti giuridici, usando parole latine che l’altro non sia in grado di comprendere:

«Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
Si sis affinis,… – cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
– Si piglia gioco di me? – interruppe il giovine. – Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?
– Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa».

E così Renzo, che non capisce, pur sgomento e contrariato, può solo rassegnarsi.

Talora la fraseologia di Conte fa sorgere il sospetto che egli persegua l’intento del curato manzoniano: adoperare un linguaggio “sacrale”, qual è quello del diritto, che solo gli “addetti ai lavori” possono capire, per conferire un’aura di “sacralità” alle sue scelte. Ad esempio, da ultimo, nel discorso con cui ha esposto in Parlamento le ragioni della proroga dello stato di emergenza, il Presidente ha detto che  

[…] la dichiarazione dello stato di emergenza è prevista dal Codice di protezione civile (è una fonte quindi di rango primario e di carattere generale, peraltro la legittimità di queste previsioni normative è stata vagliata positivamente dalla Corte costituzionale)

e che tale dichiarazione 

[…] non potrebbe di per sé in alcun modo legittimare l’adozione dei DPCM, se non fosse affiancata da una fonte di rango primario abilitante.

Varrebbe la pena chiedere al Presidente del Consiglio quanti italiani possano sapere cosa significhi «fonte di rango primario abilitante» e quanti abbiano taciuto a fronte di certe espressioni, come il buon Renzo, non avendole capite.

Conte non avrebbe potuto usare termini equivalenti, ma più comprensibili, e dire che non è lo stato di emergenza ad aver consentito i suoi poteri esercitati con Dpcm, bensì il Governo, che li ha autorizzati con decreti-legge, poi convertiti in legge dal Parlamento? «Conoscere per deliberare» significa innanzitutto capire e far capire cosa viene detto.

Inoltre, Conte dovrebbe spiegare perché abbia richiamato il vaglio della Consulta circa la legge sull’emergenza, il Codice di protezione civile: l’altisonante menzione dell’organo di garanzia costituzionale serve forse a “nobilitare” la scelta di prolungare l’emergenza stessa sempre al fine “tacitare” (chi solleva dubbi sulla proroga)? Peraltro, un Presidente del Consiglio si suppone agisca sempre nel rispetto dello stato di diritto: allora, perché citare la decisione positiva della Consulta circa la legge di cui egli si avvale, se non per farsene preventivamente scudo come “excusatio non petita”, cioè discolpa non richiesta? Conte aggiunge poco dopo:

Sarebbe d’altra parte incongruo – se ci pensate – sospendere bruscamente l’efficacia delle misure adottate, se non quando (…) la situazione, in base a criteri di ragionevolezza e proporzionalità, sia riconducibile a un tollerabile grado di normalità.

I «criteri di ragionevolezza e proporzionalità» sono stati sovente richiamati dal Presidente del Consiglio anche nei mesi scorsi, per giustificare le sue scelte all’epoca del lockdown. Tuttavia, se quei criteri non vengono motivatamente sostanziati nella realtà dei fatti e nel diritto, servono solo a rassicurare la platea che ascolta, e nient’altro. Cioè i due criteri citati suonano bene, “in astratto” ammantano di saggezza la determinazione di prolungare l’emergenza, e forse al Presidente tanto basta.

Probabilmente egli conta sul fatto che non tutti gli italiani sanno che un decisore politico, quando compie una scelta di portata straordinaria, deve dimostrare come essa sia non solo utile, ma anche necessaria, nonché commisurata allo scopo.

È vero che Conte ha esposto cosa rende – a suo dire – la proroga dello stato di emergenza “ragionevole e proporzionale”: tuttavia, “in concreto”, potrebbe davvero comprovare che, senza la proroga e in via ordinaria, non si sarebbero potuti operare, ad esempio, «l’allestimento e la gestione delle strutture temporanee per l’assistenza alle persone risultate positive… il pagamento dilazionato delle pensioni presso gli Uffici postali per evitare assembramenti; l’attribuzione all’Istituto superiore di sanità della sorveglianza epidemiologica» oppure «noleggiare navi per la sorveglianza sanitaria dei migranti.. rientrare nelle scuole nella massima sicurezza»? Se ne dubita molto.

Conte ha usato pure il latino per motivare il prolungamento dello stato di emergenza:

Molte disposizioni assumono come riferimento temporale della loro efficacia la cessazione dello stato di emergenza, quindi è un riferimento temporale per relationem, mentre altre prevedono termini di efficacia a date diverse, ma comunque anche qui determinate per relationem alla data di scadenza dello stato emergenziale.

In questo caso, il latino di Conte è un “latinorum”: oltre a non far capire nulla, è una presa in giro. Il capo del Governo intendeva forse affermare che alcune misure sarebbero cessate alla data (31/7) della fine dello stato di emergenza, che la fine di tale stato era un mero riferimento di calendario e che, siccome serviva prorogare tali misure, ha prorogato pure lo stato di emergenza, cioè il loro «riferimento temporale»?

Ma se così è, per posticipare la scadenza di quelle misure, perché Conte non ha semplicemente scritto in un provvedimento che le stesse sarebbero terminate in una data posteriore? Serviva davvero prolungare una situazione giuridica (emergenza) per posticipare giorno e mese di conclusione, specie per attività non connesse all’emergenza e che, quindi, sarebbero potute proseguire anche ordinariamente?

Ma le vette più alte Conte le ha raggiunte in un altro passaggio: 

Le considerazioni espresse dal Comitato rafforzano… con la forza di argomentazioni basate su evidenze scientifiche, le ragioni a fondamento della scelta di prorogare lo stato di emergenza e gli effetti, anche, di chiara utilità che essa è suscettibile di produrre. Lo ribadisco, a beneficio della massima trasparenza.

Pure in questo caso, il vertice dell’Esecutivo ha usato un argomento – valutazioni del Comitato tecnico scientifico sull’emergenza epidemiologica da Covid-19 – cui era ricorso nei mesi passati per fondare le proprie decisioni. Forse ancora una volta il Presidente reputa di stupire i cittadini con gli effetti di un eloquio specialistico, la cui forma e sostanza non tutti possono capire, ma oggi è più palese l’artificio.

Infatti, Conte non solo vanta la trasparenza di scelte basate su verbali del Comitato, contenenti «evidenze scientifiche», senza averli mai resi pubblici, quindi trasparenti, ma ha impugnato al Consiglio di Stato la sentenza del Tar che accoglieva un’istanza di accesso Foia, al fine di negare la (doverosa) trasparenza, per ora sospesa.

Quanti italiani avranno compreso la vicenda giudiziaria attinente a quei verbali e, dunque, si saranno resi conto che le belle parole del Presidente del Consiglio coprono scientemente decisioni fondate sull’opacità totale e, pertanto, sono una presa in giro, oltre a uno sfregio al diritto alla conoscenza? L’eloquio “contiano” li avrà di nuovo tacitati, come il Renzo manzoniano?

Ogni leader politico fa ciò che può, in termini di comunicazione, e non soltanto (Sofia Ventura lo spiega bene). L’avvocato Conte – come esposto – sfrutta la propria preparazione giuridica per infarcire i discorsi con tecnicistiche espressioni di diritto, non intellegibili agevolmente (eufemismo), e ciò rappresenta in ultima istanza una sorta di manipolazione verso chi lo ascolta: come decisore politico, con scelte che incidono sulla vita di tutti, egli dovrebbe fornire spiegazioni con un linguaggio comprensibile a tutti, appunto. In un interessante scritto del 2014 certe tecniche usate da giuristi come Conte erano spiegate, nonché criticate molto efficacemente: 

I giuristi ricorrono a varie argomentazioni per difendersi da coloro (…) che contestano loro questo massiccio utilizzo di tecnicismi ed espressioni retoriche. Obiettano, ad esempio, che i tecnicismi sono necessari per esprimere nozioni esclusive o tipiche del sapere giuridico. (…)
In verità, un buon numero di questi tecnicismi (…), salvo rari casi, potrebbero essere sostituiti da altre espressioni più facilmente comprensibili anche dai profani. (…)
Bisogna ammetterlo: buona parte degli scritti (…), ove filtrati al vaglio di una rigorosa operazione di igiene linguistica, finirebbero drasticamente sfoltiti; molte delle espressioni in essi contenute potrebbero essere tranquillamente eliminate (…). La concessione a espressioni stereotipiche, a formule logore, a svolazzi retorici non giova certo alla competenza professionale e alla capacità comunicativa dell’avvocato che li utilizza.

L’avvocato Conte ha letto le righe riportate? Certo che le ha lette, è lui che le ha scritte! “Ipse dixit”, “Conte docet”, si potrebbe concludere. Meglio di no. E non serve essere giuristi per capire che la spiegazione del 2014 è l’attestazione della farsa attuale. 

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