Dopo l’approvazione del maxi piano di stimoli e in attesa dell’altrettanto robusto programma di investimenti infrastrutturali che dovrà riportare gli Stati Uniti sulla frontiera della leadership tecnologica, ferve il dibattito su quanto l’Unione europea si trovi indietro nella corsa al rilancio, e quanto ciò potrà danneggiarla nel medio termine. Nulla di realmente inedito: ormai tutti, dagli annoiati circoli intellettuali agli uscieri degli edifici pubblici, hanno molta familiarità col topos del “declino irreversibile” della Ue. Ma come stanno davvero le cose, e che alternative possiamo immaginare?
Un modo per comparare è quello di rapportare l’entità degli stimoli all’output gap, quella entità misteriosa e il cui calcolo resta largamente esoterico, che misura il “buco” tra prodotto potenziale ed effettivo. Secondo questa metrica, e le stime realizzate da alcuni economisti, lo stimolo americano, cumulativamente, rappresenta tre volte l’output gap; quello della Ue sarebbe pari a solo il 70% del proprio buco di prodotto rispetto al potenziale.
Chi più spende, più cresce?
Secondo l’Ocse, che considera l’entità su Pil degli stimoli, questi sono i confronti, in una tabella elaborata dal Financial Times:

Si è anche stimato che l’entità dello stimolo americano è così potente da determinare una spinta al Pil mondiale di circa l’1%. E sin qui, abbiamo i numeri o meglio le previsioni.
Ovviamente, se bastasse un’espansione fiscale a determinare il successo di lungo termine di un paese, e il suo progresso nella crescita potenziale, oggi avremmo alcuni paesi sudamericani (Argentina e Venezuela su tutti) ai vertici della prosperità planetaria, e anche l’Italia, nel suo piccolo contesto europeo, sarebbe decisamente messa bene. Purtroppo, raramente quantità è qualità: anche nel deficit.
La forte espansione statunitense, letteralmente concertata tra Tesoro e Federal Reserve, almeno sin quando i mercati resteranno d’accordo, ha alcune zone d’ombra. In primo luogo, la natura temporanea della maggior parte degli stimoli, e la loro eventuale trasformazione in elementi permanenti di welfare, con relative scelte di finanziamento. Più tasse? Questa sarà la sfida dell’Amministrazione Biden, almeno sino al Midterm di novembre ’22.
Si è detto che, prima si uscirà dalla pandemia, prima si tornerà a crescere. Considerazione banale ma che necessita di ulteriore specifica: come si tornerà a crescere? Certamente a mezzo di consumi sin qui repressi; ma questa sarà una grande molla liberata, ed esaurirà i propri effetti in tempi relativamente brevi. Altrettanto sicuramente a mezzo di investimenti, e questa sarà la sfida di lungo termine sulla trasformazione delle economie.
La frugale Ue
Inutile girarci intorno: l’Unione europea, intesa come entità sovranazionale, ha sin qui fatto poco, molto poco, per lo stimolo aggiuntivo. Almeno in termini quantitativi. Un Recovery Plan da 750 miliardi, circa il 5% del Pil dell’Unione, spalmato in un quinquennio. A questo vanno ovviamente sommati gli stimoli nazionali, da analizzare, anzi scomponendoli tra componente derivante da stabilizzatori automatici (sussidi di disoccupazione, calo spontaneo del gettito fiscale) e quelli discrezionali, a loro volta da disaggregare in componente transitoria e permanente.
Quindi, la Ue è spacciata? Dopo la grande gelata della crisi 2008-2010 ci toccherà anche la perdita di opportunità del Grande Reset post pandemico? Non è detto. Se guardiamo ai soli numeri, parrebbe di sì ma basta “sbagliare” lo stimolo espansivo, e ci si trova danneggiati e con molto debito sulle spalle. Gli americani hanno scommesso forte, come nella loro natura, oltre che per l’esigenza di contrastare Pechino. I cinesi, sin qui i più rapidi a uscire dalla pandemia, sono giunti alla conclusione che hanno un eccesso di debito privato e di leva finanziaria, e stanno premendo il freno. Azione in sé interessante, da segnalare a tutti quelli che “il debito non è mai un problema, anzi!”.
Una lettura euro-panglossiana potrebbe portarci a credere che, poiché siamo “bravi” nell’export, potremo sfruttare l’onda della domanda proveniente da americani e magari anche dai cinesi, se apriranno maggiormente i loro mercati. Visione che rischia di essere miope, oltre che naïf: se la competizione tra Stati Uniti e Cina dovesse inasprirsi e portare a logiche di schieramento e guerra fredda o anche tiepida su alcuni teatri, l’Europa non appare messa benissimo.
Nel mondo col modello Brexit?
D’accordo, ci hai convinti, diranno alcuni tra voi. L’Ue è ridicola, sparagnina, mercantilistico-bottegaia, smidollata, puah. Ciò premesso, che idee alternative abbiamo, per questa Ue? Lo chiedo senza malizia, anche se non mi crederà nessuno.
Il ritorno a stati nazionali, liberati dalla sovrastruttura unionista, secondo il modello-Brexit? Ecco, diciamo che il Regno Unito sarà il canarino nella miniera europea. Anche quando elabora le proprie strategie geopolitiche, nella tradizionale revisione periodica, e sceglie il pivot indo-pacifico. Tutto molto bello e molto post-Impero ma serviranno soldi, molti. La distanza tra Grand Strategy e Little England potrebbe essere molto breve.
Ma siamo sicuri che un’Europa fatta di soli stati nazionali abbia massa critica geopolitica ed economica? Se la risposta fosse negativa, bisognerebbe spostarsi verso maggiore integrazione politica, che tuttavia richiede un egemone, e al momento quel ruolo i tedeschi sembrano non volerlo.
Ahi, serva Italia
E per l’Italia? Noi al momento abbiamo posizioni politiche che volano piuttosto rasoterra. La nostra critica alla Ue è centrata sul fatto che la stessa non abbia ancora istituito la Cassa del Mezzogiorno d’Europa, e non abbia ancora avviato quel flusso di trasferimenti che è la sola di cui noi italiani abbiamo bisogno, per confermare il nostro stile di vita così amato e invidiato nel mondo. Figuriamoci se c’è qualcuno che pensa a cose astratte e astruse come i blocchi geopolitici. Ho come l’impressione che, se questa è la critica che dalle nostre lande si leva verso Bruxelles (e Berlino), non siamo messi benissimo.
Non che questa sia una rivelazione: siamo uno dei paesi più vecchi al mondo, con un discreto track record storico di offerta al miglior offerente (Franza o Spagna purché se magna, ricordate?). Potremmo elaborare una nostra Grand Strategy in funzione di questo obiettivo: diventare un protettorato a vocazione turistica. Resta un punto per me affascinante: come faccia un simile paese, perennemente alla ricerca di patrones, a sviluppare ideologie nazionalistiche o sovraniste, è un mistero.