Mario Draghi, ricordi che non è Mario Rossi

La conferenza stampa di ieri di Mario Draghi ha avuto un effetto straniante. Da un lato, i delusi perché alla fine il premier ha detto poco e nulla di operativo, e forse troppo spesso si è lasciato andare a considerazioni che potrebbe fare l’uomo della strada fuori dalla stanza dei bottoni o che osserva un cantiere. Dall’altro, i difensori a oltranza del suo stile, che riescono a intravvedere spunti di razionalità superiore anche se Draghi risponde a chi gli chiede l’ora.

Intanto, vorrei dire che le domande mi sono parse piuttosto banalotte e ripetitive, con ciò stesso non incentivando grandi elaborazioni del premier. A parte l’ossessività con cui ricorre quella su Matteo Salvini che, more solito, si esercita nella sua stucchevole propaganda di “apriamo, apriamo”. Si può capire: Salvini cucina con gli ingredienti di cui dispone. Sempre quelli, sempre più rancidi.

“Apriamo, chiudiamo, lasciamo socchiuso”

Dopo oltre un anno di “apriamo, chiudiamo, lasciamo socchiuso”, che ha partorito esattamente quello, cioè il famoso semaforo regionale, che la storia si incaricherà di spiegare che è stato il motore dietro alla persistenza della pandemia in Italia, soprattutto dopo l’avvento della variante inglese, difficile attendersi dal leghista elaborazioni più complesse. Del resto, se alcuni milioni di cani reagiscono esattamente a quel fischietto a ultrasuoni, lui si adegua.

Draghi qui non poteva che rispondere in modo scontato, seguiremo i dati, apriremo appena possibile, anch’io voglio aprire, al momento non posso dirvi altro. Mormorio dalle fattive retrovie: Draghi non legge il futuro, che scarso.

Le considerazioni e le critiche di Draghi sui criteri di vaccinazione seguiti nelle regioni sono quelle dall’uomo della strada. Un peccato, tuttavia, che lui non sia l’uomo della strada ma il presidente del consiglio. Forse ha limiti sulle “ingerenze” nell’azione delle regioni, anche per ovvi motivi di maggioranza parlamentare, ma resta il fatto che l’Italia passerà alla storia di questa pandemia come il paese che ha sbagliato praticamente tutto, nelle priorità.

Dopo di che, possiamo dire che è stata AstraZeneca, la riduzione degli approvvigionamenti, vera o presunta, la natura corporativa malata di un paese fatto di amici degli amici, qualsiasi cosa. Ma i numeri urlano, e non basta sdegnarsi per gli “psicologi di 35 anni” che vengono vaccinati, esempio peraltro non proprio calzante. E soprattutto, in conflitto col decreto emanato dal suo stesso governo. Anche questo è parte integrante della maledizione italiana: “ma la norma diceva esattamente così, io l’ho rispettata!” Seguono circoli viziosi sulla delimitazione della norma, e negoziati estenuanti per la scrittura della medesima.

Amici, nemici o semplici dittatori?

Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata dal virus. Che pare non avere grande inclinazione a negoziare. A parte ciò, o si agisce con forza e senza mediazioni o forse è meglio non avanzare considerazioni banalotte, che tuttavia possono essere utili a deflettere dalla persona di Draghi le critiche, almeno da quella parte di popolazione meno abituata a scavare nei fatti.

Su Erdogan dittatore, che dire? La frase completa esprime un concetto di grande realismo, che gli americani ci ricordano da tempo immemore, nei fatti prima che con le parole. Forse sarebbe stato meglio confinare queste considerazioni alle riunioni ristrette, domestiche e internazionali, ma tant’è.

Sul golden power per “difenderci da potenze straniere”, prendiamo atto. Forse si poteva aggiungere che ci impegneremo per distinguere le minacce vere da quelle di cartone, che hanno dietro le solite pulsioni assistenzialiste. Difenderemo gli stabilimenti balneari dal bibitaro polacco! Ma forse qui Draghi sarebbe risultato troppo pedante e comunque contano i fatti.

Su Alitalia, altre banalità, anche se la battuta sulla “cosa di famiglia un po’ costosa” è pregevole, si fa per dire. Dopo di che, largo ai ministri negoziatori e vi faremo sapere. Se ci sono discriminazioni contro di noi le contrasteremo; se non ci sono, non lo faremo. Max Catalano, da lassù, osserva e sorride.

Ha fatto sorridere anche il momento in cui Draghi ha detto di non aver ancora letto il dossier MPS. Sarà anche vero ma non può essere vero, non foss’altro perché parla Mario Draghi, non Mario Rossi. Ma tant’è, serve cautela e forse tutti abbiamo messo troppe aspettative sulle capacità taumaturgiche dell’ex presidente della Bce. Che ha una maggioranza parlamentare a sostenerlo, sia pure in maniera pelosa e strumentale sino al disgusto. E che lo sosterrà sempre meno quanto più la situazione epidemiologica migliorerà, non scordiamolo.

Finché c’è virus c’è Speranza

La difesa da parte di Draghi del ministro della Salute, Roberto Speranza, diventato da inizio pandemia un sin troppo facile bersaglio ibrido tra uno iettatore e una iattura, è stata letta da alcuni come ceffone all’ala salvinista della maggioranza, da altri come assoluta banalità, strumentale a tenere vagamente coesa una maggioranza che semplicemente non è tale, anche dopo il colloquio mattutino tra il premier e Pierluigi Bersani, che con la consueta e ormai stucchevole bonomia da buonsenso ha fatto presente a modo suo che serviva difendere la pedina sovraesposta del suo partito.

In sintesi, forse era meglio non tenere una conferenza stampa, se doveva risultare una sorta di commento alla lettura dei giornali. Ma sono anche consapevole che, tacendo, si sarebbe alimentata la reazione alternativa: “ecco il tecnocrate antidemocratico asserragliato nella torre d’avorio: la gente deve sapere!1!!”.

Quindi, bene così, all’incirca. La “maggioranza”, o meglio l'”ammucchiata” è quella: bisogna barcamenarsi in nome della democrazia, almeno di quella formale. Per il resto, non ho nulla da commentare al solito tic dei giornali, che sono una camera a eco a pagamento, e per quello stanno morendo. Da un lato gli zelatori compulsivi, dall’altro i travagli dei detrattori, che magari hanno perso il proprio cavallo nella corsa, e che ora vivono a costante rischio di gravi problemi epatici. Che barba, che noia.

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