Una settimana di crolli e volatilità estrema (ampiamente attesi visto il livello e la progressione delle quotazioni nell’ultimo anno), certifica che le criptovalute sono sotto assedio geopolitico. Le banche centrali moltiplicano i propri ammonimenti circa la loro “pericolosità” ed assenza di valore intrinseco, mentre accelerano i lavori per lanciare proprie monete digitali. C’è poi l’accusa alle cripto di essere “sporche” anche dal punto di vista ambientale, in quanto basate su un funzionamento energivoro. Questo punto, a mio giudizio, è però quello che gli anglosassoni chiamerebbero sideshow, un diversivo.
La Cina è particolarmente aggressiva nella repressione delle criptovalute, dato che sul suo territorio risiedono ancora i maggiori “minatori” di criptovalute, che utilizzano energia elettrica proveniente da centrali alimentate a combustibili fossili, soprattutto carbone.
Cina, minatori e delatori
Curiosa la vicenda della provincia cinese della Mongolia Interna, che ha creato una linea telefonica per delazioni contro i miner. Ufficialmente perché la provincia è sorvegliata speciale del governo centrale per l’alto numero di centrali a carbone. Ma nessuno dovrebbe ingannarsi al punto da credere che il passaggio a centrali “verdi” e fonti rinnovabili renderebbe Pechino più morbida nei confronti delle criptovalute.
Il punto vero e scontato è che la Cina non intende perdere il controllo dei movimenti di capitale, oltre che la presa su economia e società. Lo sviluppo di una moneta digitale della banca centrale è causa ed effetto della lotta a bitcoin e affini, oltre ad essere pienamente strumentale alle necessità di sorveglianza.
Negli Stati Uniti, Federal Reserve e amministrazione Biden stanno a loro volta intensificando questa lotta, la prima con l’accelerazione dello sviluppo della propria central bank digital currency, la seconda in chiave di contrasto all’economia sommersa e criminale.
Banche centrali in guerra
Come finirà? Le banche centrali hanno la missione ormai dichiarata di emarginare ed eradicare le criptovalute, ma quest’ultime si difenderanno al crescere della loro “istituzionalizzazione di mercato”, cioè della loro presenza nei portafogli tradizionali di investimento.
Se questa tendenza dovesse rafforzarsi, potrebbe raggiungere una massa critica di tipo finanziario e politico. Finanziario perché le criptovalute assumerebbero rilevanza sistemica, nel senso che stroncarle arrecherebbe enormi danni al risparmio e all’economia. Politico perché, proprio per evitare questa evenienza, farebbero la loro comparsa dentro e fuori dai parlamenti i “difensori dei risparmiatori”, richiedendo il loro voto.
Quanto al crollo di questi giorni, l’interpretazione più lineare è quella dell’azione dello spillone che doveva pungere da tempo, e che ha spazzato via le posizioni a leva, cioè costruite con indebitamento. Un evento del tutto prevedibile e fisiologico, pur nella sua rilevante magnitudine. Ma il guanto di sfida delle istituzioni è ormai lanciato.
Quanto alla questione “filosofica” che da sempre connota le criptovalute, e cioè se siano o meno moneta, diremmo che è ormai risolta. Non lo sono, per manifesti motivi. Il loro prezzo può essere interpretato come il valore del capitale proprio (equity) di una astratta azienda che sta tentando di sviluppare una nuova tecnologia. Che è promettente da ormai oltre un decennio ma che non è ancora uscita dalla fase della promessa. Buon ascolto.
N.B. Nel podcast il numero massimo di bitcoin ottenibili è erroneamente indicato in 21 mila anziché 21 milioni di pezzi. Il termine dell’emissione è al 2140 e non al 2040. Ci scusiamo con gli ascoltatori.