Prosegue il teatrino dell’estate, quello che appassiona retroscenisti, analisti e direttori di telegiornali specialisti in dirette fiume in cui si discetta del nulla ma sempre con grande iperventilazione. Pare che oggi sia il giorno, o meglio uno di quei giorni. Quello in cui il Grande Mistero della politica italiana, l’avvocato professor Giuseppe Conte, spiegherà in diretta a social unificati a che punto è la sua interlocuzione con la Guida Spirituale dell’entità convenzionalmente chiamata M5S. Proviamo a spiegare perché siamo all’abituale teatrino, che va ben oltre questa specifica vicenda.
Dopo un legislatura in cui il M5S è stato al governo pressoché con tutti, grazie alla sua maggioranza relativa di seggi, e dove la realtà si è divertita prendere a calci nel deretano non tanto i portavoce quanto chi li ha eletti, e dopo l’ennesimo tuffo carpiato verso una piscina vuota, il Garante del M5S, rag. Grillo Giuseppe detto Beppe, ha toccato con la sua spada la spalla del prof. avv. Conte, designandolo prossimo capo politico. E fu così che il neo-Cariglia della politica italiana, il fregoli del nostro teatrino parolaio, restava in rampa di lancio per la successiva tappa di una misteriosamente (ma non troppo) irresistibile carriera politica.
Capi politici e guide spirituali
Prossimo capo politico ma non troppo, visti gli intoppi legati al divorzio dalla Casaleggio Associati e il tiraemolla sul Graal degli iscritti al Mo’ Vi Mento. Giunti al dunque, cioè alla elaborazione dello statuto del NeoMovimento, e dopo infrattamento tattico di Conte, proditoriamente assalito dall’agenda nel giorno in cui doveva accompagnare Grillo all’ambasciata cinese, in casuale contemporanea col decadente G7 di Cornovaglia in cui si discutevano le strategie di contenimento di Pechino, l’Elevato nonché Guida Spirituale ha sbottato, e mandato a stendere il pignolo e vaporoso leader, dove vaporoso non è riferito all’acconciatura.
Ora, dopo azione di “pontieri”, mediatori e miracolati assortiti, si attende che Conte si pronunci, dopo aver minacciato di prendere cappello e, forse, farsi un partito suo (non mettiamo limiti alla divina provvidenza). Come finirà ? Non è questa la domanda da porsi, credo. Piuttosto, occorre chiedersi come e perché siamo arrivati a questo punto.
Che la realtà stia picchiando sempre più duro su ogni leader politico, ovunque nel mondo, è ormai un fatto accertato. Le scorciatoie portano ormai quasi sempre in vicoli ciechi ma soprattutto bui, dove si viene pestati per benino dalla sopracitata realtà . L’Italia non fa eccezione ma continua a farla, nel senso che il nostro eccezionalismo si è declinato nell’ascesa al potere di una entità che ha materializzato tutto il degrado civile e culturale di questo paese.
Il quadro è del resto coerente con le premesse. L’elettorato produce esiti compatibili con la propria mappa valoriale e visione del mondo. Quello su cui vorrei richiamare la vostra attenzione è la logica aggregativa dei partiti. Nel senso che, di fronte a ripetuti ceffoni da parte della realtà , che ogni volta si incarica di spiegare a queste associazioni di privati cittadini come stanno le cose, la reazione resta quella: aggreghiamoci, federiamoci, stringiamoci a coorte.
C’è sempre qualche cosiddetto intellettuale, a sinistra, pronto a coagire a ripetere, vagheggiando grandi alleanze democratiche. A destra non ci sono intellettuali ma si tenta ogni volta, in modo ruspante, di creare cartelli, partiti unici, gruppi parlamentari federati, a cui richiamare la rigogliosa “società civile” italiana, termine strappato all’egemonia culturale della sinistra. Come va a finire? Che da entrambi i lati fischiano i ceffoni, indovinate da parte di chi.
Il Pd sull’impalcatura
Il Partito democratico, eterna incompiuta frutto di una fusione a freddo tra una cosiddetta sinistra e un centro cosiddetto popolare e democristiano, da lustri lavora sull’impalcatura dell’edificio del centrosinistra che guarda al ventre molle centrista. Purtroppo per loro, e in spregio alle norme antinfortunistiche, questo lavoro avviene senza protezioni, per cui la regolarità con cui i Nostri si schiantano al suolo suscita tenerezza anche negli osservatori più aridi.
In questa legislatura, in mancanza di meglio, al Pd si sono convinti che occorra drenare l’elettorato grillino, e portarlo nella Casa dei progressisti. Un po’ come Umberto Bossi e la sua Lega “costola della sinistra” di dalemiana memoria, quando si trattava di disarcionare il Cavaliere. Questo nei giorni dispari: in quelli pari, era tutto un florilegio di bicamerali e solenni promesse di tutelare il patrimonio audiovisivo di Arcore, frutto del genio italico.
Poi venne l’era di Matteo Renzi, convinto che il Pd dovesse sfondare al centro e anche un filo a destra, e drenare l’elettorato forzista. Espulso Renzi dall’organismo piddino, in conseguenza di errori strategici del fiorentino e di una robusta campagna di demonizzazione montata dall’ala sinistra dei democratici, oltre che ovviamente per mancato sfondamento al centro, il Pd è tornato Diesse, che non è la Domenica Sportiva né una gloriosa Citroen dei tempi che furono ma un blocco verniciato di rosso antico, sembra ruggine, pur sempre incline a prendere spettacolari tranvate da deficit oculistico e vedere in Joe Biden il leader socialdemocratico d’Occidente. Vita in provincia, al solito.
Ora, come detto, siamo al ritorno della fase socialdemoqualcosa, con rigature rugginose, e urge mettere le mani sui voti grillini, cioè su una Bad Company che tuttavia potrebbe ancora avere qualche valore di liquidazione a stralcio. Il tutto ipotizzando che gli elettori siano come la mitologica lista di iscritti a Rousseau o i clienti delle filiali bancarie comprati da altro istituto, cioè pacchi. Voi state qui buoni, siamo subito da voi. Degli astenuti poco ci si cura, forse attendendo esiti francesi alle prossime elezioni.
Nel mezzo, ci sono tutte le ardite teorizzazioni di improbabili demiurghi, come il direttore di un quotidiano che da tempo crede di essere il discendente naturale di Eugenio Scalfari nell’attività di guida da remoto di partiti e governi, e che ambisce a portare l’avvocato professor Conte a piantare una bella bandierina, a forma di paletto di frassino, nel cuore del Pd. Un partito sinistrogiustizialista, di quelli che “tutti sono colpevoli, è solo questione di cercare meglio, rafforzare il momento magico del tintinnio di manette e carcerazione preventiva e cancellare la prescrizione, e poi la palingenesi arriva”.
Ulivo con xylella
Prendiamo il caso delle elezioni per il sindaco di Bologna, dove il candidato della Ditta trionfante, dopo una campagna elettorale in cui ha presentato la sua avversaria come la figlia illegittima del Demonio, dicendosi pronto a intonare il Bella Ciao d’ordinanza, scatenare la forza popolare delle imprescindibili Sardine e mobilitato padri nobili, amici e compagni, dopo la vittoria alle primarie di coalizione è riuscito a ribadire che a Bologna si lavora a un “fronte popolare”, espressione che di solito porta una sfiga marcia, per poi tornare a spartiti più moderati e rievocare lo spirito dell’Ulivo, con la partecipazione dei pentastellati. Coalizione a ripetere.
Viene troppo facile la battuta “Ulivo alla xylella”, quindi non la faremo. Viene anche troppo facile comprendere che a Bologna il M5S non pare essere una corazzata (o forse sì, della classe Potemkin), e che quindi spendere due chiacchiere locali per pagare il solito lip service alla “strategia nazionale” costa assai poco.
Per farvela breve, questo fervore ingegneristico e questi campionati nazionali di lancio della stronzata sono e restano nel solco radioattivo delle coalizioni per debolezza estrema, di fronte alla realtà . E’ uno schema vecchio, che accompagna il fallimento di questo paese, soprattutto nei momenti in cui a Chigi c’è il periodico salvatore tecnico della Patria, e quindi i partiti hanno più tempo libero per elaborare sempre nuovi modi per convincere milioni di lemmings a fare quattro salti giù dalla scogliera, al prossimo lavacro democratico.
Godetevi lo spettacolo del movimento biodegradabile e biodegradato, quindi: ma abbiate consapevolezza che è solo una delle manifestazioni esteriori, pur se finora la più spettacolarmente deforme, dei ricorrenti coaguli di un sistema fallito. Il secolo della marmotta italiana.
Aggiornamento: se proprio vi interessa anche la cronaca, Conte ha prevedibilmente rispedito la palla a Grillo.
Aggiornamento del 29 giugno: l’Elevato si conferma un vero talent scout, e triangola con Casaleggio per liberarsi di Conte. Voi ditemi: in quale altro paese al mondo ci sono spettacoli del genere, in politica?