Mille anni addietro, al termine di Tutto il calcio minuto per minuto, c’era uno spot rimasto nella storia: “La tua squadra del cuore ha vinto? festeggia con Stock 84! Ha perso? Consolati con Stock 84!”. Unico dubbio, che fare in caso di pareggio ma probabilmente un modo per bere si trovava comunque. Poi vi fu lo spot di un caffè, che poteva essere gustato in qualsiasi situazione. Si chiamava “Crema e gusto”, quindi ogni momento era quello giusto. Poi venne il deficit italiano, quello che serve sempre e comunque, almeno per una classe politica di bancarottieri da bonus.
Più o meno, la cosa funziona esattamente nei termini di quegli spot pubblicitari: siamo in recessione o in rallentamento? Si faccia deficit per sostenere l’economia. Siamo in espansione? Si attenda a ridurre il deficit altrimenti soffocheremo la ripresa in culla. Il tutto senza porsi qualche domanda minimale riguardo a efficacia ed efficienza di quel deficit, cioè al suo leggendario impatto moltiplicativo.
Ogni momento (per far deficit) è quello giusto
Che per definizione dei proponenti è sempre stratosferico, “lo dicono anche alcuni premi Nobel, e comunque basta con l’austerità ”, (che come noto è negli occhi di chi guarda) e basta pure coi neoliberisti con tante b, i famosi complici delle multinazionali con tante zeta.
Ieri, alla Camera e al Senato, è passata a grandissima maggioranza una risoluzione che invita il governo a procedere a un nuovo “scostamento di bilancio” (i.e. ulteriore deficit) “qualora si verifichi un peggioramento dello scenario economico”. Che detta, così, sembra una banalità assoluta e pure una tautologia, visto che ciò che accade quando la congiuntura peggiora è esattamente un aumento del deficit, per l’operare dei cosiddetti stabilizzatori automatici.
Ma forse quello che si nasconde dietro queste posizioni è l’uso “preventivo” del deficit e l’assoluta dipendenza di una classe politica che negli ultimi due anni ha scoperto il denaro “a gratis” e gli interventi salvifici della Bce, e ora non intende tornare indietro.
Mario Draghi e Daniele Franco, invece, sono preoccupati che il nostro paese divenga nuovamente deviante rispetto al resto d’Europa, proprio ora che la Bce ha smesso di comprare i nostri Btp, e che quindi rischiamo che lo spread ci sfugga di mano. Ecco quindi che, nella condizione attuale, tornano le “idee” sempreverdi su come fare manovre “ampie e avvolgenti”, come direbbero gli esperti di strategie militari e calcistiche, senza mettersi nei guai.
Scostamento in manovra
In attesa che arrivino gli immancabili ingegneri finanziari disperati (è solo questione di tempo, neppure troppo), vi segnalo un commento di Mario Baldassarri comparso ieri sul Sole. Che non è rivoluzionario né particolarmente ardito, ma semplicemente l’ennesima coazione a ripetere le solite cose, sapendo che nulla si realizzerà .
Il titolo del commento di Baldassarri è programmatico: “serve uno scostamento da dieci miliardi di euro (ma una manovra da 50)“. In altri termini, serve deficit aggiuntivo per dieci miliardi da ottenere con coperture per una quarantina. Le coperture, questi animali minacciosi per il politico medio.
Perché 5 miliardi di deficit aggiuntivo, così come prodotto dal Def sono “miseri”, dice Baldassarri, e un po’ ha ragione, ma 10 secondo lui sono meglio. Data la dimensione dell’economia italiana, mi sfugge il senso di questa affermazione a meno che parliamo di differenti moltiplicatori, ma transeat. Baldassarri è responsabile, non vuole spese “a buffo”, quindi si oppone al famoso scostamento da 50 miliardi al tavolo 4.
Che fare, quindi? Ecco la proposta di Baldassarri:
Tutti però trascurano il fatto che anche quest’anno spenderemo oltre 900 miliardi di spesa pubblica. “Dentro” questi 900 miliardi, solo come esempi che dovrebbero essere eclatanti, ci sono 35 miliardi di distribuzione a pioggia di fondi perduti in conto capitale e in conto corrente ed 80 miliardi di tax expenditure.
E quindi?
Certamente sarebbe un messaggio forte e credibile se l’Italia varasse subito una manovra da 50 miliardi, coperta però per circa 30 miliardi da “spostamenti” di spesa pubblica e per 10 miliardi da tassazione degli extraprofitti delle imprese del settore energia.
Un pozzo di spesa
Oh, eccoci. Ricordo che, una decina di anni addietro, sentivo commenti politici del tipo “ma la spesa pubblica italiana è di 800 miliardi, possibile che non si trovi il modo di recuperarne 5-10 per [inserire la nobile causa]?”. Ora siamo arrivati a 900 miliardi e c’è ancora chi svuota i cassetti rilanciando queste proposte, aggiornando la data e i numeri. In aggiunta, ci sono gli “extraprofitti” da tassare. Una fortuna avere sempre così numerose fonti di gettito, quando si scrive un romanzo fantasy.
Ricordo anche che, durante il governo di Enrico Letta, quando il tema della revisione di spesa assunse la valenza di un mantra nazionale, c’erano postulanti che andavano dall’allora premier chiedendo un trenino da pagare con “i risparmi degli sprechi”. E Letta annuiva paterno e un po’ confuso da tanto entusiasmo. Siamo un paese ricco di cornucopie.
Poi venne l’epoca dei “sussidi ambientalmente dannosi” da abolire, una specie di coltellino dell’esercito svizzero per camminare lungo la strada che porta al Mulino Verde della transizione ecologica e fare cassa. Salvo non toccare nulla perché i percettori di tali sussidi mostravano e dimostravano l’insostituibilità dei medesimi. Da “italiani sono sempre gli altri” di cossighiana memoria a “gli sprechi sono sempre quelli degli altri”, la strada è breve.
Poi vennero le tax expenditures, le agevolazioni fiscali che servono ai partiti per ritagliarsi porzioni di elettori e che divengono “diritti acquisiti” un attimo prima che qualcuno pensi di “disboscarle” parlando davanti ai microfoni di giornalisti che si chiedono dove diavolo sia finita l’ultima marmotta, visto che il suo giorno è sempre e dobbiamo festeggiarla.
Ecco quindi che il professor Baldassarri, animato dalle migliori intenzioni, formula una proposta sobria destinata però a incidere su spese che a qualcuno “servono”. Perché, come diceva qualcuno, “il tuo deficit è il mio reddito”. E poi, vorrete mica tagliare la spesa durante una guerra, no? A questo punto mi sovviene una mia frase, ripetuta spesso durante la crisi del debito sovrano italiano: “non si può riformare sotto le bombe”. Ecco, ben mi sta: ora vengo punito da quanti potranno dirmi che non si fanno tagli di spesa durante una guerra vera, neppure se tali tagli di spesa fossero destinati a beneficiare altri soggetti e non a ridurre il deficit.
La terra promessa, gratuitamente
Perché la guerra è sempre, il momento per fare deficit pure, la tossicodipendenza italiana da debito anche. E, visto che nessuno deve toccare alcunché, credo proprio che il concetto di deficit e debito “buoni” sia un gigantesco abbaglio. Procederemo a chiedere “ristori” e ad assistere a comizi di avvocati prestati alla politica, ma che della politica sono in realtà il momento di febbre altissima, in cui si spiegherà come condurre il popolo verso la meravigliosa era in cui sarà possibile cambiare in meglio la propria vita, “gratuitamente”, pur con evidenti problemi di dizione. Tra una televendita e l’altra, incolpando l’Europa egoista perché “siamo sovrani, sussidiateci”. O anche “questo shock è asimmetrico e colpisce noi più di altri, datece li sordi“.
Da “l’ultimo buco (di bilancio) e poi smetto” allo scostamento magico, passando per gli extraprofitti da tassare, gli ormai anziani lemming italiani trotterellano gioiosamente verso il dirupo.