di Vitalba Azzollini
Una Repubblica fondata su balneari e ambulanti. Così potrebbe sintetizzarsi la giornata del 20 aprile scorso. In questa data, da un lato, è arrivata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) che ha fissato il principio per cui le concessioni balneari non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono costituire oggetto di una procedura di assegnazione «imparziale e trasparente», nel rispetto della direttiva Bolkestein (2006/123/CE). Dall’altro lato, nella stessa data, il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge sulla concorrenza (ddl Concorrenza) per il 2022 che, riguardo alla «assegnazione delle concessioni di posteggio per il commercio al dettaglio su aree pubbliche», cioè le aree per gli ambulanti, stabilisce una serie di proroghe automatiche. È necessario fornire alcune spiegazioni per capire come i due eventi del 20 aprile siano legati.
La sentenza della Corte di Giustizia
La sentenza della CGUE era ampiamente attesa. Nel dicembre 2020, la Commissione europea aveva aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto della Bolkestein (recepita in Italia con d.lgs. 59/2010). Nel novembre 2021, il Consiglio di stato (Cds) in adunanza plenaria, con due sentenze gemelle (nn. 17 e 18), aveva deciso che la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative fosse in contrasto con il diritto dell’Ue e che le norme nazionali che la dispongono, e che in futuro dovessero ancora disporla, andassero considerate «tamquam non esset», cioè come se non esistessero, e quindi fossero disapplicate sia dai giudici sia da organi amministrativi.
La Corte di Giustizia ha ribadito «l’obbligo, per gli Stati membri, di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente» nell’assegnazione delle concessioni, nonché il divieto di procedere al rinnovo automatico. Secondo La CGUE le disposizioni della direttiva sono enunciate «in modo incondizionato e sufficientemente preciso», quindi essa può considerarsi auto-applicativa (self-executing). E «poiché tali disposizioni sono produttive di effetti diretti, i giudici nazionali e le autorità amministrative, comprese quelle comunali, sono tenuti ad applicarle, e altresì a disapplicare le norme di diritto nazionale non conformi alle stesse».
L’escamotage del Governo
A fronte della procedura di infrazione aperta da anni, della giurisprudenza nazionale secondo cui le concessioni devono essere assegnate con gara e della sentenza della CGUE che pone una pietra tombale sulle proroghe automatiche, qual è l’escamotage che è emerso da dichiarazioni di esponenti del Governo? La preventiva “mappatura” delle spiagge. Perché, nonostante sia noto da oltre un decennio che le concessioni balneari vadano attribuite con una procedura imparziale e trasparente, pare che una mappatura non esista.
Ciò suona strano, considerato che la legge Finanziaria per il 2010 (l. 191/2009) aveva imposto a tutte le amministrazioni l’obbligo di inviare annualmente al Ministero dell’Economia e delle Finanze i dati sui beni immobili pubblici e che un decreto ministeriale del 30 luglio 2010, in attuazione della legge, aveva esteso il censimento alle concessioni. Ancora più strano se si pensa che i Comuni effettuano da anni rinnovi delle concessioni in essere, quindi ovviamente conoscono la situazione delle spiagge del proprio territorio.
La mappatura era già stata prevista nella legge Concorrenza per il 2021 (118/2022), ma la Commissione europea aveva espresso perplessità al riguardo, affermando fosse importante che l’Italia procedesse «rapidamente» a rendere la sua legislazione e le sue pratiche conformi alla legislazione europea e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il decreto Milleproroghe di fine anno ha fissato luglio 2023 come scadenza per tale mappatura. Scadenza che può immaginarsi sia suscettibile di essere spostata in avanti, secondo consolidata tradizione normativa.
L’ostinazione manifestata circa la mappatura da esponenti della maggioranza sembra sottendere l’intento di arrivare a dimostrare che le spiagge non sono un bene scarso, per sostenere che la Bolkestein – la quale trova il proprio presupposto proprio nella «scarsità delle risorse naturali» e nel conseguente numero limitato delle concessioni relative a tali risorse (art. 12) – non si applichi o si applichi in modo limitato agli arenili italiani.
A questo riguardo, deve aprirsi una parentesi: qual è oggi la situazione delle spiagge italiane in termini di “scarsità”, cioè di spiagge “libere” che teoricamente potrebbero essere messe a gara? Va innanzitutto chiarito che, per fare correttamente questa valutazione, bisogna considerare non solo la disponibilità di spiagge sabbiose, ma anche la balneabilità delle acque, l’accessibilità alle spiagge e altri elementi. C’è poi un ulteriore fattore, di tipo normativo, da tenere presente. La legge Finanziaria per l’anno 2007 (l. 296/2007, comma 254) prevede che le Regioni debbano «individuare un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili».
In altre parole, ai sensi di questa norma, gli stabilimenti devono essere intervallati da spiagge libere con adeguata alternanza, e ciò va disposto con legge regionale. Ma, come risulta dal report“ Spiagge 2021” di Legambiente, mentre alcune normative regionali stabiliscono un’idonea proporzione tra le spiagge pubbliche e quelle in concessione – Puglia e Sardegna prevedono il 60 per cento di spiagge libere, nel Lazio la percentuale è al 50 per cento – in altre regioni le cose vanno diversamente: in Emilia-Romagna, Campania e Abruzzo il limite minimo per le spiagge libere è del 20 per cento, nelle Marche del 25 per cento, in Molise il 30 per cento. In cinque regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto), poi, «non esiste alcuna norma che specifichi una percentuale», e ciò fa sì che in Versilia si arrivi addirittura a una media del 90 per cento di spiagge in concessione. Comunque, anche ove una percentuale è prevista, non sempre viene rispettata.
Torniamo alla sentenza della CGUE. È vero che la Corte dice che la valutazione della scarsità del bene può essere condotta su base nazionale o territoriale oppure combinando i due approcci, e che l’esecutivo conta probabilmente su questo passaggio della sentenza per riuscire a comprovare che manca il presupposto per l’applicazione della Bolkestein, cioè la scarsità del bene da mettere a gara.
Ma lo spazio per forzature è comunque stretto. La Corte, infatti, afferma che, se pure la direttiva lascia agli Stati membri «un certo margine di discrezionalità», resta comunque a carico degli stessi «un obbligo di risultato preciso e assolutamente incondizionato». E, in ogni caso, i criteri adottati per valutare la scarsità delle risorse naturali devono essere «obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati». Insomma, si dubita che la pratica dilatoria, e il conseguente escamotage, della mappatura possa funzionare in sede di procedura europea di infrazione.
La vicenda normativa delle concessioni agli ambulanti
Meno nota è la vicenda normativa e giudiziaria che negli anni ha interessato gli ambulanti.
Il commercio ambulante è regolato, a livello statale, da un decreto del 1998 (d.lgs. n. 114), che prevede in dieci anni la durata delle relative concessioni. Il decreto di recepimento della direttiva Bolkestein intervenne su tale disciplina, demandando a un’intesa da raggiungersi in Conferenza Unificata l’individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo delle concessioni. Nel luglio del 2012, a seguito di tale intesa, furono stabiliti i criteri, la durata massima delle concessioni (non inferiore a 9 anni e non superiore a 12 anni) e le disposizioni transitorie. A seguito di ciò pare che qualche gara venne fatta, ma la cosa non durò molto. Nel 2016 il decreto Milleproroghe (d.l. 244) prorogò al 31 dicembre 2018 la scadenza delle concessioni in essere, e poi una nuova proroga – fino al 31 dicembre 2020 – fu disposta dalla Legge di Bilancio per il 2018 (l. 205/2017), con la finalità di garantire che le procedure per l’assegnazione delle concessioni stesse fossero temporalmente allineate.
Il colpo di scena avvenne con la legge di bilancio per il 2019 (l. 645/2018), quando il Governo Conte 1 rimosse le concessioni per il commercio su aree pubbliche dai settori in cui si applicava la Bolkestein. L’opera fu completata dal Governo Conte 2 che, con il decreto Rilancio (d.l. 34/2020), prorogò di 12 anni la scadenza del posteggio per gli ambulanti (da fine 2020 a fine 2032), disponendo altresì che eventuali posteggi liberi, vacanti o di nuova istituzione, fossero assegnati «in via prioritaria e in deroga a qualsiasi criterio», senza l’espletamento di alcuna procedura ad evidenza pubblica. A seguito dell’emanazione di queste normative, nei mesi scorsi la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura di pre-infrazione per la violazione della direttiva Bolkestein con riguardo alle concessioni in questione. Questa è la storia. Torniamo all’attualità.
Il ddl Concorrenza e gli ambulanti
Il ddl Concorrenza fa formalmente rientrare il commercio ambulante sotto la disciplina della Bolkestein, ma sostanzialmente ne prevede l’applicazione solo in modo residuale per i prossimi anni. L’ambito delle proroghe automatiche è, infatti, molto ampio. La prima di tali proroghe riguarda le concessioni i cui procedimenti di rinnovo erano in scadenza al 31 dicembre 2020: saranno prolungate per una durata di 12 anni. Le concessioni non interessate da tale procedimento di rinnovo, invece, sono prorogate sino al 31 dicembre 2025 anche in deroga al termine disposto nel titolo concessorio, e ferma restando l’eventuale maggior durata prevista.
Dunque, solo per eventuali nuove aree da destinare al commercio ambulante o per concessioni non rinnovabili sarà applicata la direttiva Bolkestein, mediante procedure a evidenza pubblica vincolate a un serie di criteri stabiliti dal ddl Concorrenza (stabilità occupazionale tenendo conto dell’esperienza nel settore; valorizzazione delle micro-imprese, numero massimo di concessioni per operatore).
Il ministero per le Imprese e il Made in Italy ha giustificato l’ampia proroga “eccezionale” di 12 anni sulla base del “principio di legittimo affidamento” dei concessionari. In buona sostanza – si sostiene – se le loro concessioni fossero state rinnovate alla scadenza, entro dicembre 2020, sarebbero andate avanti per 12 anni, come previsto dalla normativa dell’epoca. Se il principio richiamato sia effettivamente sussistente lo valuteranno i giudici nei contenziosi che di certo non mancheranno, dato il contrasto fra i principi di concorrenza sanciti in sede europea e l’ennesima limitazione alla concorrenza che la legge italiana sta ponendo. Ma sin d’ora possiamo provare a verificare la tenuta di tale principio, valutando se gli ambulanti potessero davvero “confidare” nel rinnovo delle concessioni in essere o se non potesse venire loro almeno qualche dubbio.
Legittimo affidamento degli ambulanti?
Nel febbraio 2021, qualche mese dopo l’ultima proroga delle concessioni disposta dal Governo Conte 2, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), a seguito di una richiesta ricevuta dal Comune di Roma circa l’eventuale «indebita alterazione della concorrenza» causata dalla normativa vigente, affermò che le norme che avevano sottratto l’intero settore dall’applicazione della Bolkestein, nonché quelle di proroga fino al 2032 e di esclusione di gare a evidenza pubblica, sollevavano «seri dubbi di compatibilità con il diritto».
Lo stesso concetto fu ribadito dall’AGCM nella nota alla Presidenza del Consiglio del marzo 2021, contenente proposte ai fini della legge Concorrenza per il 2021: «le modifiche apportate al decreto di recepimento della direttiva Bolkestein, le norme del Decreto Rilancio e le conseguenti determinazioni ministeriali» violano le «norme costituzionali ed euro-unitarie poste a tutela della libertà di iniziativa economica e della concorrenza, in quanto idonee a restringere indebitamente l’accesso e l’esercizio di un’attività economica».
Nel novembre 2021 intervennero le citate sentenze del Cds, affermando che la Bolkestein può considerarsi auto-applicativa, ribadendo il concetto che serve «una procedura di selezione imparziale e trasparente» nell’assegnazione delle concessioni e stabilendo la disapplicazione di qualunque norma vigente o futura relativa a proroghe automatiche. Nel gennaio 2022, il Tar del Lazio respinse il ricorso presentato dagli operatori del commercio ambulante di Roma contro l’applicazione della direttiva Bolkestein al settore, proposta dall’amministrazione del Campidoglio. Nel giugno 2022, il Tar della Lombardia impose al Comune di Milano di annullare concessioni attribuite in contrasto con le norme europee. Altri Tar hanno adottato decisioni di pari tenore. Poi, la citata sentenza della CGUE ha chiuso il cerchio delle decisioni che si susseguivano da tempo circa la portata della direttiva Bolkestein, ponendo principi chiari e definitivi.
Sulla base di tutte queste pronunce amministrative e giurisprudenziali, che da anni ribadiscono l’illegittimità delle proroghe delle concessioni per il commercio al dettaglio sul suolo pubblico, può davvero ritenersi sussistente il supposto principio di affidamento dei concessionari su cui il governo ha basato l’ennesima proroga automatica per 12 anni?
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In conclusione, sorge una domanda: con riguardo a balneari e ambulanti, può dirsi che i testi normativi sulla concorrenza dispongano una vera concorrenza, cioè una liberalizzazione dei relativi settori? Se ne dubita molto. E l’Unione europea continuerà a tollerare il calcio in avanti alla lattina – sport nazionale dei governi pro tempore con riferimento alla concorrenza, e non soltanto – nonostante sentenze di tribunali, pareri dell’Autorità Antitrust e procedure di infrazione? Per rispondere alla domanda va considerato anche il Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR). È vero che, per rispettarne le scadenze, l’emanazione delle leggi annuali sulla concorrenza deve avvenire nei termini previsti. Ma pure con riguardo all’attuazione del Piano, oltre che per l’attuazione della Bolkestein, l’Italia è “osservata speciale”. Leggi sulla concorrenza “annacquate” e gare che continuano a non essere svolte potrebbero costarci care, in molti sensi.
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