Il governo sudanese, dopo aver rifiutato il termine di trenta giorni fissato il 30 luglio dall’Onu per disarmare le milizie arabe da esso create allo scopo di realizzare la pulizia etnica nella regione del Darfur, e dopo aver rifiutato la proposta dell’Unione Africana di inviare nella regione un contingente di peace-keeping di almeno 2000 soldati, incassa il sostegno della Lega Araba. Questa organizzazione, composta da 22 paesi, nessuno dei quali possiede un governo democraticamente eletto, sostiene che un mese di tempo per disarmare le milizie è troppo poco, e accusa l’Onu di “ingerenza” negli affari interni sudanesi. Nel frattempo, l’inviato dell’Onu nella regione si dichiara pessimista, e denuncia la prosecuzione degli attacchi con elicotteri militari ad opera dell’esercito regolare e delle milizie arabe janjaweed. Nel frattempo, la grassa e bottegaia Europa, guidata dall’intramontabile spirito etico francese, quello che ha assistito ad oltre un milione di morti in Ruanda dieci anni fa, prima del risolutivo intervento americano, quello che in Liberia si è fatto travolgere dal conflitto tra sostenitori e oppositori del presidente Taylor, prima del risolutivo intervento americano, discetta dottamente se in Darfur sia in corso un genocidio o meno, essendo peraltro propensa a negare la prima ipotesi. In Italia, il cuore della sinistra sanguina sempre copiosamente contro il cattivo uomo bianco, parlando di “indifferenza dell’Occidente” di fronte alla tragedia del Darfur, ma tacendo rigorosamente sulle vere cause della pulizia etnica, nel timore di portare acqua al mulino dell’odiata tesi della “guerra di civiltà”, che mal si concilia con il grande affresco dello sfruttamento neocoloniale americano, che verrà denunciato più avanti, quando i nostri combattenti della pace, avvolti nelle loro bandiere iridate, avranno avuto modo di leggere qualcosa di più su quella regione. Questa vicenda rappresenta un eccellente banco di prova per la mitologica Onu, e la sua capacità di risolvere devastanti crisi umanitarie. Non rappresenterà invece nulla per la nostra sinistra, se non l’ennesima occasione perduta per ripulire la propria malafede ideologica.
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