Memoria corta

Il governo capitola: la tanto strombazzata riduzione delle tasse avverrà (se mai avverrà) solo dal primo gennaio 2006. Nel 2005 la precedenza verrà data alla riduzione dell’Irap, la famigerata imposta sul reddito delle attività produttive, che tanto ha contribuito ad affossare, dalla sua introduzione, la competitività delle imprese italiane. Questa della mancata riduzione dell’Irpef (o dell’Ire, come si chiama ora) è una storia molto istruttiva: nel programma originario della Casa delle Libertà era prevista l’introduzione di due sole aliquote: 23 e 33 per cento. Ciò avrebbe confermato, ma potenzialmente assai indebolito, la progressività del nostro sistema tributario, stabilita dalla costituzione, e probabilmente sarebbero stati necessari robusti aggiustamenti alle esenzioni ed alla cosiddetta “no-tax area” per mantenere una progressività soddisfacente. Oggi, dopo anni di proclami, Berlusconi “scopre” che non ci sono le condizioni per un simile alleggerimento fiscale, il che ci fa sospettare che il premier viva su una sua nuvoletta, in una sorta di autismo politico a cui gli italiani continuano a prestare orecchio. La realtà è un po’ più complessa: il governo ha alfine scelto di ridurre la pressione fiscale sulle imprese, alleggerendo l’Irap (nei limiti in cui sarà possibile) per tentare di dare ossigeno ad un sistema delle imprese ormai agonizzante, come mostrano le statistiche sull’emorragia di quote di mercato all’esportazione negli ultimi 2 anni. Fin qui l’aspetto esteriore. Restano poi alcune situazioni “di contorno”. Prima tra tutte il fatto che abbiamo scoperto che in questo paese esiste un robustissimo partito delle tasse e della spesa pubblica, che ha in ampi settori di Alleanza Nazionale e dell’Udc i propri principali sostenitori. Esistono alcuni milioni di voti che letteralmente dipendono dalla spesa pubblica, ed esistono partiti che senza tali voti semplicemente non esisterebbero. Ora l’unica cosa che possiamo augurarci è che il ministro Siniscalco si erga a guardiano della spesa pubblica, senza sbracare sui rinnovi contrattuali del pubblico impiego, anche se confessiamo di essere sempre stati molto ingenui. Di Berlusconi abbiamo già detto, l’uomo appare molto meno il Grande Comunicatore di cui si favoleggiava, e sempre più il prigioniero di logiche partitocratiche autenticamente da Prima Repubblica, di cui stiamo vivendo semplicemente il secondo tempo. Restiamo in attesa di vedere il giorno in cui gli enti locali verranno messi nella condizione di gestire autonomamente le proprie entrate e le proprie spese, e di non nascondersi, come ora, dietro il mantello dei trasferimenti pubblici per coprire imbarazzanti insipienze amministrative o più propriamente redistribuzioni truffaldine dei soldi dei contribuenti, vedasi il giro miliardario (in euro) delle consulenze, sul quale ci auguriamo presto si scoperchi la pentola. L’ultima parola (come sempre) è per il centrosinistra. Esultanza per il mancato taglio delle imposte personali (??), rimbrotti a Berlusconi per non aver mantenuto le promesse elettorali, nell’ormai abituale strabismo demagogico che caratterizza uno schieramento profondamente involuto e tenuto assieme solo dal collante dell’ossessione antiberlusconiana. All’Ulivo vorremmo sommessamente ricordare che l’Irap venne introdotta dal governo Prodi, ministro dell’economia Vincenzo Visco, nel 1997. L’Irap rappresenta un autentico doppione dell’Iva, al punto che il 16 novembre è atteso il pronunciamento della Corte europea di Lussemburgo sull’ipotesi di violazione dell’ordinamento fiscale comunitario che impedisce l’imposizione basata sulla “cifra d’affari delle imprese”, proprio per non provocare pericolose duplicazioni dell’imposizione indiretta. L’Ulivo è responsabile dell’introduzione di questa imposta, che ha pesantemente contribuito al declino della competitività del nostro paese. Ma vedrete che se arriverà una sentenza di condanna europea per l’Irap, la Gad riuscirà a compiacersene e dare la colpa di tutto a Berlusconi. Il circo Italia continua, sempre nuovi animali sulla pista…

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