Il sasso in piccionaia

E’ quello scagliato da Francesco Rutelli il quale, durante un convegno organizzato a Firenze dalla Margherita, rompe uno dei tabù più cari alla sinistra.

“Dico no alla socialdemocrazia e all’egualitarismo. No alla socialdemocrazia perché si è esaurita. Il mondo è cambiato e le risposte politiche della metà del secolo scorso non sono più possibili. E no all’egualitarismo, perché una società di uguali è povera, finta, retta da poteri oscuri che si basano sulla sopraffazione”.

Posizione interessante, che suscita immediate, sdegnate reazioni da parte della sinistra, anche di quella sedicente “riformista”, e proprio nel giorno in cui si riuniscono gli Stati Generali della sinistra onirico-antagonista, per mettere a punto una delle abituali, logore formule di onanismo politichese per “coordinare” le proprie obnubilazioni vetero-marxiste e illiberali. Bertinotti, ad esempio, giunge ad una conclusione illuminante: “Se si fa a meno dell’egualitarismo, vuol dire che si è liberali (orrore!, ndr), di centro oppure di destra”, mentre Fabio Mussi, esponente del correntone Ds, ricorre al caro, vecchio aggettivo “inquietante” per commentare la sortita di Rutelli. Il più pensoso (e moderato) Vannino Chiti si avventura in concetti più strutturati, tentando di differenziare tra (auspicabile) eguaglianza delle condizioni di partenza e livellamento sociale, cioè l’egualitarismo a cui (probabilmente) faceva riferimento Rutelli. Alcune riflessioni s’impongono. La discussione su temi che, altrove in Europa, la sinistra ha già affrontato e risolto tra gli anni Settanta e gli Ottanta, non può che mettere a nudo l’avvilente arretratezza culturale dello schieramento “progressista” italiano, che rifiuta pervicacemente, anche nelle proprie componenti dichiaratamente riformiste, di studiare Tony Blair; la fortissima disomogeneità politica e di retroterra culturale tra le diverse componenti del centrosinistra, che di fatto rende il tentativo di aggregazione privo di significato, avendo come unico collante l’avversione patologica verso Berlusconi. Si può ritenere che Rutelli, con questa presa di posizione, stia cercando per l’ennesima volta di impedire la creazione di un soggetto politico più o meno strettamente federato, come vorrebbe Romano Prodi, destinato a nascere con una forte egemonia da parte della sinistra onirico-antagonista. Motivazioni condivisibili, quelle di Rutelli, se egli stesso non fosse espressione di un bizzarro clericalismo, quello che ha portato i voti della Margherita (il partito che esprime tra l’altro i furori cattointegralisti e antioccidentali di Rosy Bindi) alla assurda legge sulla procreazione assistita. Niente liberalismo, siamo italiani…

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