L’Ecofin ha approvato il programma di stabilità presentato dall’Italia.
Possiamo attenderci che questa notizia passerà prevalentemente sotto silenzio da parte di quella larga parte dei media italiani che sono convinti che questo paese abbia come responsabili di politica economica dei giocatori d’azzardo e pure un po’ bari. La grancassa ed il rigorismo vagamente autolesionistico scatenati sui conti pubblici italiani dalla sinistra e dai suoi “giornali di riferimento” sono piuttosto sconcertanti, se solo si cerca di analizzare e capire il perché delle attuali difficoltà dei conti pubblici italiani, e non solo.
L’economia italiana, dopo l’introduzione della moneta unica europea, è entrata in una crisi strutturale causata da produzioni industriali a generalmente basso valore aggiunto, eliminazione dell’abituale leva strategica delle svalutazioni del cambio, tessuto produttivo prevalentemente costituito da imprese piccole e molto piccole, per ciò stesso strutturalmente inadatte ad investire in ricerca. La moneta unica ha drammaticamente messo a nudo la fallacia dell’ovvietà culturale secondo la quale la “genialità imprenditoriale” italiana, oltre ad alcune peculiarità, quali il lusso, il turismo e la trasformazione agroalimentare, sarebbero state più che sufficienti a consentire al nostro paese un posizionamento strategico vincente.
Sfortunatamente, la globalizzazione ha colpito molto duro, ed ora l’Italia si trova costretta a ripensare la propria “mission” produttiva. Di fronte ad una simile crisi è possibile rispondere essenzialmente in due modi: attraverso una maggiore dose di “dirigismo” ed intervento pubblico nell’economia, ammesso e non concesso di reperire le fonti per finanziare tale approccio, oppure in modo “liberista”, deregolamentando e privatizzando a tutto campo. La politica economica del governo Berlusconi è stata finora molto carente: assenza tanto di una vera politica industriale che di impulsi decisivi ad un’ampia liberalizzazione delle attività produttive.
L’opposizione ha finora fatto solo l’opposizione, cioè ha agito in assoluta deresponsabilizzazione, rincorrendo il governo su temi “popolari” quali il taglio delle tasse (dopo aver sdegnosamente fatto sapere che era tecnicamente impossibile) oppure, in modo molto più irritante, andando a “suggerire” capziosamente ai tecnocrati di Bruxelles il modo per “smascherare” i presunti artifici contabili utilizzati dal nostro governo per restare entro il limite del 3 per cento di rapporto deficit/pil.
Interessante il fatto che il noto economista Fassino sottolinei la necessità di una manovra aggiuntiva, dopo aver ruminato qualche vecchio paper del Fondo Monetario Internazionale. La risposta di Siniscalco (“sono sufficienti solo aggiustamenti amministrativi”) dovrebbe riportare alla mente che nel governo Prodi-Ciampi (quello della convergenza all’euro) la manovra di gran lunga più gettonata dall’allora ministro del tesoro ed attuale presidente della repubblica era propria la stretta sul “tiraggio di tesoreria”, cioè sulla possibilità per enti locali ed amministrazione pubblica di utilizzare voci di spesa già contabilizzate “per competenza”. Possiamo affermare che il decadimento della funzione “sociale” della spesa pubblica è iniziato proprio allora, e gli psicodrammi collettivi su treni che cadrebbero a pezzi e infrastrutture inesistenti data proprio da allora.
Ciò non vuol dire che l’attuale governo sia esente da critiche: come nel 1994, anche oggi la Casa delle Libertà sembra del tutto refrattaria ad una seria politica di privatizzazione, che contribuirebbe peraltro a ridurre lo stock di debito, e si è limitata ad iniziative minori, tipo la cartolarizzazione degli immobili pubblici, che di solito premiano solo gli advisor.
Ma l’Unione prodiana continua a non voler fare il governo-ombra, e non ci dice quali manovre concretamente utilizzerebbe per rilanciare la crescita e comprimere debito (presumiamo anche qui con le privatizzazioni) e deficit (qui molto più difficile, perché alzare le tasse sarà sempre meno praticabile, e non solo per motivi strettamente economici).
Lo stesso Pierluigi Bersani, testa pensante e pragmatica del centro-sinistra, quando sostiene che il 2000, ultimo anno completo di governo ulivista, fu un anno di forte crescita, dimentica di dire che il 2000 fu l’anno in cui l’Italia beneficiò simultaneamente della disinflazione indotta dalla convergenza all’Euro (che rappresenta un potente stimolo alla crescita e alla domanda di consumi ed investimenti) e della fase finale della “bolla” della New Economy, prima del drammatico sboom successivo. E’ molto difficile pensare che un governo di centrosinistra, nelle attuali condizioni, possa fare molto di più rispetto a quella che appare una crisi strutturale, peraltro non limitata al nostro paese, e soprattutto considerando che anche paesi attualmente in profonda crisi strutturale, come la Germania, retti da governi di sinistra, stanno adottando misure del tutto incompatibili con la visione del mondo di gran parte della coalizione italiana di sinistra-centro. Ma restiamo in attesa della “Fabbrica” di Romano Prodi, anche il nome profuma già di novità ed innovazione…