Ieri si sono svolte in Toscana le prime elezioni primarie ufficialmente organizzate da una regione. Risultato non particolarmente brillante, se è vero che, di fatto, vi hanno partecipato solo gli elettori dei democratici di sinistra. Ma questa notizia offre alcuni spunti di riflessione. In primo luogo, le consultazioni sarebbero costate la modica cifra di 400.000 euro, a carico del bilancio regionale. Sfortunatamente, e malgrado la stessa regione Toscana lo abbia, (come dire?) intuito, i partiti sono solo delle associazioni di privati cittadini, e davvero non si comprende il motivo di utilizzare fondi pubblici (nella deprecata America direbbero “soldi dei contribuenti”) per quello che resta di fatto un passaggio organizzativo eminentemente pre-elettorale, e quindi estraneo alla sfera della tutela pubblica dei diritti politici. Poi, colpisce che alle consultazioni abbiano partecipato solo i Ds, e che nessuna altra lista, non solo del centro-destra, ma anche del centro-sinistra, abbia ritenuto di dover mettere a rischio la privacy degli elettori e le strategie interne ai singoli partiti, forse perché le misure precauzionali a tutela della riservatezza (quali la distruzione delle schede dopo lo spoglio), risultavano del tutto insufficienti.
Ancora una volta, emerge come si sia cercato di scimmiottare la prassi statunitense, dimenticando tuttavia che negli Stati Uniti vige un regime di bipartitismo pressoché perfetto, e che i partiti sono (ovviamente) delle organizzazioni private. La regione Toscana, i cui alti lai in occasione dei tagli nei trasferimenti di fondi statali ancora echeggiano, avrebbe forse potuto spendere meglio quei 400.000 euro, e soprattutto ha perso un’occasione per allontanare da sé lo sgradevole e persistente sospetto (peraltro comune anche alla regione Emilia-Romagna) di un’inaccettabile commistione tra partiti ed istituzioni, dove esiste un partito-stato (indovinate quale…) che occupa sistematicamente gli spazi istituzionali pubblici. Non vorremmo generalizzare, ma temiamo che questi comportamenti rappresentino il patrimonio genetico della sinistra: indubitabili successi nella gestione degli enti locali, certo, ma un’eclatante assenza di cultura liberale, quella che in nessun caso dovrebbe identificare i partiti con le istituzioni, perché il conflitto d’interessi sembra davvero essere il vero tratto culturale di questo paese, l’antitesi del liberalismo come lo intenderebbero tutte le persone di buon senso, politico e non solo.